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F. Alborghetti – Registro dei fragili

Creato il 14 ottobre 2010 da Viadellebelledonne

F. Alborghetti – Registro dei fragili
   E’ crudo e forte  il  Registro dei fragili di  Fabiano Alborghetti  (Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2009)  che  canta, attraverso la storia  drammatica di una madre che arriverà a uccidere il figlio, il vuoto che, in gran parte, galleggia della nostra società.
   Come si legge nell’ esaustiva e chiara prefazione di Fabio Pusterla, partendo da “ un fatto di cronaca, uno dei tanti desolanti fatti di cronaca degli ultimi anni, accompagnati ogni volta da un chiacchiericcio mediatico” l’autore  “scandaglia con pietosa lucidità i meandri, le zone d’ombra, i luoghi più ripugnanti” di un inferno quotidiano.
   L’estremità del gesto, l’epilogo drammatico del racconto poetico, è  preceduto, poesia dopo poesia, da inquadrature che sottolineano la superficialità di comportamenti e di pensieri delle persone e da ritratti che potrebbero, tra l’altro, far parte di storie non altrettanto tragiche, momenti di anonimo vivere.
   C’è un matrimonio, celebrato perché  sta per nascere un bambino,  c’è la futura mamma  convinta  “ che l’amore gli  sarebbe poi bastato”, c’è poi l’amara  consapevolezza  che non è l’amore a legarli, ma solo l’essere genitori biologici dello stesso figlio.
   Entrambi alienati dal lavoro che svolgono o non svolgono, delusi dal diverso modo di guardare al futuro e di avvicinarsi alla sessualità, i due cadono in un rapporto che acuisce i difetti  agli occhi dell’altro e  i tormenti dei desideri repressi. Non c’è amore nel marito e nella donna, non c’è rispetto per l’altro, non si legge tra le righe neppure un comune progetto di vita. Non c’è soprattutto maturità. E in mezzo  c’è il bambino tra  i due genitori che non dialogano se non per ferirsi o per fingere una  falsa serenità.

Canto 9.

Il discorso, la finzione del discorso per offrire la presenza
di buon padre buon marito che pagava in pizzeria:
poi girava con lo sguardo come fosse un po’ per noia

stando attento a bilanciare tra l’attorno e la famiglia. La portata
di ogni sguardo, la portata in diagonale farsi largo tra la folla
per studiare soppesare nel passaggio l’ogni carne

tra i vestiti immaginare quanto seno o culo o forma
senza un niente tralasciato e sapeva che veniva lui  veniva in
   ogni corpo
lo sapeva che ogni corpo gli piaceva come fosse ognuno il primo

non il mio si ripeteva a bassa voce, non il mio di moglie accanto
non il mio di carne morta già mangiata  consumata resa sterile
   dal parto
non il mio ma quello accanto

e non importa quanti anni, che vestito o peso o stile
non il mio ma la ragazza, non il mio ma l’ogni donna
l’universo di bastarde che si offrono per niente

io lo so, io l’ho capito, io capisco ogni finzione…
Poi il figlio lamentava
del calore della pizza della coca già finita

intrometteva un’altra volta. Portava un nuovo cambiamento…

   La storia è cantata da Alborghetti  in ottonari che sottolineano e accompagnano l’evolversi del  percorso di morte, con la loro musicalità, che, come ben descrive  Pusterla nella prefazione,  “produce uno sfondo ritmico prolungato, sommesso, quasi un coro tragico o grottesco”.

   Se l’autore, prima che esplodessero in tutta la loro drammaticità, è stato profeta nel  mettere a fuoco  la vita e le problematiche degli immigrati nella sua precedente opera L’opposta riva, ( Como, Lietocolle, 2006),  in quest’ultimo lavoro, con chiarezza, e talvolta con crudezza, dipinge uno spaccato del  nostro vivere  i cui ideali sono quelli creati dai media: il culto del corpo, l’uso della donna come mezzo di piacere, l’arroganza degli uomini  di poco spessore e zero sentimenti e soprattutto l’ isolamento di chi,  per ragioni diverse, si trova a vivere confrontandosi solo con quanto scrivono le riviste di gossip o propongono le trasmissioni televisive di cultura medio-bassa.

Canto 10

Sognava il volo e un altro corpo e non diceva
quanto sforzo per trovare
quella forma da velina in cui sapeva appartenere.

Molto prima di sposare  era diverso
ma il parto lei capisce , è il parto che rovina.
Dallo step lo sguardo attorno rivolgeva per trovare

un solo sguardo che posasse su quel culo faticato, fatto magro
sulla dieta che diceva la tv. Poi a casa un’altra dieta
cose bio per costruire più che il corpo quell’idea:

l’organismo era diverso molto prima di sposare
altro corpo fatto meglio per l’età.
Niente intralci e imperfezioni

Non contava neanche gli occhi che fermavano un suo sguardo
ripassare tra le forme sode e ferme
che scopriva poco a poco e di cui andava fiera:

ogni abito perfetto e scopriva l’ombelico, ribassava
una spallina o le gambe accavallava senza pena o smagliature.
Guarda ora che disastro:

non più donna di un qualunque corpo sfatto
che vedeva giù al mercato. Non è questo il mio destino
ripeteva, meritavo altro destino

che un marito sempre assente ed un figlio che risucchia
ogni stilla e paragone… Continuava sullo step
insistendo il moto fermo, gli occhi chiusi nel pensare

che all’uscita se un incontro… Le varianti immaginava
senza figlio o sposalizio ma un qualcuno farsi avanti
per offrire la rivalsa, dare un senso alla fatica

ritornare in superficie coi polmoni doloranti…
  

    Ogni poesia rappresenta una cellula cancerosa che corrode  ciò che unisce la coppia e che condurrà  al  tragico epilogo della follia:

Canto 36

Spiegazione era dovuta per quel livido sull’occhio
non normale si diceva nel bambino a quella età.
Ripeteva la caduta, l’incidente per le scale

Nel rientro al pomeriggio
ma il vicino le sentiva certe urla
e la madre qui negava: è bambino poco attento

sfida gli angoli giocando.
Le braccia azzurre giù in piscina
si mischiavano con l’acqua

e nessuno le vedeva e nessuno ne parlava
che un bambino è poco attento
e l’estrema conseguenza è naturale

se palesa in altre forme…

Canto 37

Certe cose vanno fatte per trovare il giusto spazio
e serviva i piatti pronti ferma in mezzo alla cucina
con la luce innaturale della lampada a soffitto:

come fosse quella vita un qualcosa passeggero…

   L’opera, dove è costante il riferimento alla Tv, vista come tempio guida e maestra di stili di vita ben lontani dalla quotidianità dei comuni mortali  e occhio impietoso che penetra nelle anse del dolore altrui in nome dell’ indice di ascolto , si conclude con le  poesie raccolte sotto il titolo “ Tesi del giudizio” e “Registro dei fragili” nelle quali  viene raccontato il dopo-cronaca della normalità, a telecamere spente. E qui Alborghetti chiude, lasciando sui puntini di sospensione  lo sguardo degli altri, la commiserazione, la certezza, e forse il sollievo, che “questo a noi non può accadere…”
   Un testo complesso e ricco, che descrive e s’interroga  sulla fragilità della donna e dell’uomo di oggi sommersi, spesso travolti  nell’intimo dall’esterno, una denuncia e una condanna dei falsi idoli  dai quali la società è oggi, spesso e purtroppo, assediata.

 Sandra Palombo



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