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F1 | Dov’è il fattore rischio nelle corse moderne?

Da Tony77g @antoniogranato

F1Sport.it

25 ottobre 2013 – Il fattore richio in F1 è un aspetto che sta tendenzialmente diminuendo di spessore. Le cause sono molteplici ma questa dose eccessiva di ‘sicurezza’ da parte del pilota non permette più di effettuare una opportuna selezione della bravura dei driver in pista.

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La F1 sbarca in India, in un circuito di nuova generazione voluto da Bernie Ecclestone e disegnato, in tutte le sue forme, dal suo architetto di fiducia, Hermann Tilke. Sorvolando sulle caratteristiche della pista indiana, mettendo da parte un attimino quelli che sono i rettilinei e le curve di questo tracciato, una delle caratteristiche di questo circuito (e di tutti quelli della sua generazione) è il fatto di possedere una larghezza del nastro d’asfalto veramente enorme oltre al fatto di non avere più le vie di fuga ricoperte di ghiaia.

Adesso ci si potrebbe chiedere il perchè questa riflessione e cosa c’entri la medesima con questo cosiddetto ‘fattore rischio’.

In realtà un collegamento c’è. I piloti, affrontando uno di questi circuiti ultra-moderni, si trovano a fronteggiare una sempre minore paura di sbagliare, consci del fatto che una imprecisione alla guida costerebbe a lui ed alla sua auto ben poco in termini di tempo e soprattutto di danni meccanici e strutturali. Ovvio che tutto questo è dovuto anche alle vetture e allo sviluppo aerodinamico e degli pneumatici degli ultimi tempi.

Certo, se tutto questo significa un incremento della sicurezza in pista per piloti e spettatori, ben venga. Nessuno vorrebbe vedere altre tragedie nello sport. I fatti occorsi alla De Villota e le immagini di Sean Edwards e Dario Franchitti dovrebbero far riflettere. La F1 è effettivamente un mondo di privilegiati, sotto questo punto di vista. E ben venga che certi provvedimenti vengano introdotti anche nelle altre categorie, se servisse a ridurre la mortalità in pista.

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E’ fuori discussione, però, che la F1 di questa generazione prenda molti meno rischi di quella dei tempi addietro. Senza andare troppo indietro nel tempo, senza dover rispolverare le vere e proprie imprese di Lauda, Hunt, Peterson, Clarke e via discorrendo, anche solo dieci o quindici anni fa era cosa ardua tenere giù il pedale in certe situazioni (vedi Eau Rouge in Belgio o 130R in Giappone). A parte i circuiti cittadini come Montreal o Montecarlo dove il rischio di commettere errori è quasi rimasto invariato fino ad oggi, in quasi tutti i circuiti vecchio stampo, chi faceva un errore lo pagava caro. Nella migliore situazione la vettura si insabbiava nella ghiaia per non ripartire più; nella peggiore, invece, ci si poteva anche stampare a muro. Al giorno d’oggi è tutto diverso. Vetture e piloti al limite, consapevoli che un errore, la maggior parte delle volte, non provoca di fatto nessuna perdita evidente. La conseguenza di tutto questo è una guida estrema da parte dei driver di oggi che, assecondati anche dalle loro vetture aerodinamicamente e meccanicamente super-performanti, sembrano guidare su due binari, senza paura alcuna di sbagliare alcunché. In altre parole, non riusciamo più a fare distinzione tra un pilota normale, uno bravo e il fuoriclasse col classico ‘pelo sulla pancia’.

E’ lo stesso pensiero anche di Anthony Davidson, opinionista di Sky Sport F1 e pilota Toyota nella categoria ALMS: “Tralasciando un attimo il discorso sicurezza, per il quale la FIA ha fatto un lavoro incredibile in questi anni, è patetico vedere dei piloti andare fuori pista senza perdere nulla. Oggi una curva ad alta velocità non è più una sfida perché si dispone di un enorme zona di asfalto in uscita. Di conseguenza ne risulta che la guida della maggior parte dei piloti attuali è molto borderline, quasi estrema!”.

“I piloti dovrebbero essere visti quasi come degli eroi” ha infine concluso Davidson.

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