30 Dicembre 2013 – Quarta uscita della collana “I Team Indimenticabili” dedicata ad un team storico dell’automobilismo inglese: la Tyrrell.
Kenneth, detto Ken, Tyrrell era uno di quei personaggi che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della Formula 1. Inappuntabile come cosa, ma non dite che era un tipo simpatico. Burbero come pochi, ma con un fiuto per le giovani promesse degne di uno spinone in recupero preda. Un attegiamento quasi paterno con i suoi driver (a tal punto da farsi chiamare nell’ambiente “Zio Ken”), ma capace di sfoderare lavate di capa che sembravano monologhi di un dramma Shakespeariano. Per farla breve, e per dirla in anglosassone, un: “man with big balls”. Simply.
Tyrrell nasce nel Surrey nel maggio del 1924 e dopo un onorabile carriera nella RAF si congeda dando vita al suo primo business: acquista una factory di legname e sembra tutt’altro che interessato alle corse. Nelle sue passioni in cima troviamo cricket e calcio, ed è proprio per seguire la squadra di calcio del suo paese che si innamora delle corse. Basta un pomeriggio a bordo pista a Silverstone, e Tyrrell comincia a pensare di essere meglio di tanti piloti in pista. Gli anni ’50 Tyrrell li passa al volante di varie F2 e F3, ottenendo risultati anche di rilievo.Nel 1960 nasce la Tyrrell Racing Team che muove i suoi primi passi in Formula Junior con una Cooper-BMC con al volante niente poco di meno che John Surtees. La sede del team era la vecchia fabbrica di legnami di proprietà del “Boscaiolo”. Nel 1964 Robin Mckay segnala a Tyrrell un giovane ma veloce scozzese: Jackie Stewart. Il boscaiolo fin dall’epoca aveva sempre un occhio attento per i giovani talenti e, dopo un test sbalorditivo, mette sotto contratto il 24enne scozzese. I successi con i telai Cooper in F2 e F3 sono tanti (Tyrrel sostutuì anche John Cooper nel team di F1) ma la cessione delle quote della casa inglese alla Chistead, spinse il giovane inglese del Surrey a cambiare fornitore di telai, scegliendo un produttore aereospaziale francese in continua crescita nelle competizioni: La Matra.
Nel 1968 arriva il debutto in Formula 1, seppur con il nome Matra, ed è subito un boom. Arrivano 3 vittorie e un secondo posto alla fine del campionato dietro all’imprendibile Lotus 49 di Graham Hill, che fanno urlare al miracolo. Stewart ha già la stoffa del campione nonostante in molti vedano questo debutto ultra positivo figlia del fatto che alla Lotus è mancata la sua punta di diamante Clark. A poco serve la vittoria capolavoro nel terribile Nurburgring in mezzo alla nebbia. Stewart, però, è pronto a zittire tutti.
Nel 1969 Stewart vince in: Sud Africa, Spagna, Olanda, Francia, Gran Bretagna e Italia laureandosi campione del mondo per la prima volta con un vantaggio abissale nei confronti di Ickx alfiere della Brabham. Arriva anche il mondiale costruttori ancora con il nome di Matra – Ford. Questo binomio telaio-motore, evidentemente, non era più di gradimento ai vertici francesi che volevano vedere il poderoso V12 montato sulla Matra di Stewart nel 1970. Tyrrel e Jackie, invece, volevano proseguire con Ford DFV, sui quali la Lotus aveva perso l’esclusiva di utilizzo proprio a vantaggio della Matra messa in pista dalla Tyrrell. Il risultato è una rottura che non si aggiusterà più e spingerà il boscaiolo a contattare la March per acquistare un telaio.Il primo anno da iridato per Stewart è un fiasco. La March 701 della Tyrrell racing team, mal si adatta al motore DFV e a Sir Jackie; così Ken Tyrrell si adopera per risanare questo gap. Contatta Derek Gardner (ex ingegnere della Matra) e gli affida segretamente la progettazione di una vettura. Sono i primi di agosto del 1970 e per Gardner inizia una vera corsa contro il tempo, in quanto Tyrrell vorrebbe far debuttare la sua prima vettura entro fine stagione per una sorta di collaudo in vista del 1971. Il miracolo a Gardner riesce e al Gp del Canada del 1970 debutta la Tyrrell 001. Le due pole in Canada e Usa sono risultati al di sopra di ogni aspettativa e poco importa se in ambo due le occasioni arrivano ritiri per problemi tecnici. La 001 è acerba e ci vuole solo tempo per farla crescere. Le armi in più di Tyrrell sono il campione Stewart e un giovane francese ingaggiato a metà stagione al posto di Servoz – Gavin: Francois Cèvert.
Il 1971 è un trionfo. Stewart si laurea per la seconda volta campione del mondo e il costruttori arriva grazie ai punti portati a casa dal fido scudiero Cèvert. La vittoria del bello e impossibile Francois nel’ultima gara a Watkins Glen consacra la Tyrrell anche nel costruttori con più del doppio dei punti rispetto alla rivale BRM. Un dominio senza bandiera che non si ripete nel 1971. Fittipaldi e la sua Lotus 72 sono dei missili terra-aria imprendibili per tutti. Stewart attenua i danni con un secondo posto e getta le basi per un 1973 trionfale.
Il 1973 è, numeristicamente parlando, il miglior anno per la Tyrrell. Stewart vince 5 gare e dove l’asso scozzese non riesce ad essere tra i primi ci pensa Cèvert a portare a casa punti sacrificandosi quando invece il top driver della Tyrrell è al comando. In estate, Stewart (lanciatissimo verso la terza iride) comunica segretamente a Tyrrell l’intenzione di abbandonare a fine anno. Ken sa già che l’uomo del futuro è Cèvert e pensa a Williamson (giovane pilota inglese) come sua seconda guida. Il destino non è d’accordo. Sia Williamson (in Olanda) che Cèvert (negli USA) perderanno la vita in pista. Tyrrell, affezionatissimo all’asso francese, è choccato da questa tragedia. Ken per il futuro si affida ad un Sudafricano di belle speranze che risponde al nome di Jody Scheckter. La Elf (storico sponsor Tyrrell) appoggia un francesce guascone e spericolato: Patrick Depailler.Il biennio 74-75 vede poche emozioni al team Tyrrell. Svezia 74 regala una doppietta con Scheckter davanti a Depailler, dopo che quest’ultimo aveva fatto la pole position, e arriva anche la vittoria in Gran Bretagna. L’anno successivo arriva solo la vittoria in casa per Scheckter e Tyrrell capisce che così non si può andare avanti. Bisogna combattere la rivoluzione (forzata) dei piloti del 1973 con una rivoluzione tecnica. Derek Gardner progetta colei che sarà destinata a diventare la Formula 1 simbolo degli anni 70: la Tyrrell P34. L’idea è semplice ma folle: una vettura a 6 ruote (4 davanti 2 dietro). Questa soluzione dovrebbe favorire l’avanzamento della vettura, inoltre un anteriore molto largo permette una maggior impronta a terra favorendo l’inserimento in curva. La Good Year si incarica di sviluppare le mini ruotine anteriori e Tyrrell ci mette del suo ottenendo la sponsorizzazione dalla First National City Bank, coinvolgendo nel progetto la Koni e ingaggiando l’unico uomo in grado di mettere di traverso in curva una vettura a 6 ruote: Ronnie Peterson (nel 1977).
Il debutto arriva nel polemico Gp di Spagna del 1976 e da li parteciperà 30 gran premi, per un bottino misero di una vittoria e una pole entrambe conquistate nel Gp di Svezia del 1976. Visti gli scarsi risultati, coloro che avevano scommesso sul Project 34 cominciano ad allontanarsi. La Good Year capisce che è stupido investire risorse e denaro in una tipologia di gomme destinata ad un unico team e la Koni non porterà ammortizzatori sviluppati se non quelli del debutto. Gardner, sfiduciato, abbandona la Tyrrell e la Formula 1 venendo sostituito da Maurice Philippe che dovette apportare modifiche per favorire il raffreddamento delle mini gomme anteriori. Tali modifiche, però, andavano a contrastare con l’idea iniziale della P34 e la rendevano una macchina che mangiava gomme e basta. A fine 1977 la P34 va in pensione venendo sostituita dalla più “normale” Tyrrell 008.Il fallimento della P34 coincide con l’inizio di un lento ma inesorabile declino. Peterson lascia la Tyrrell dopo solo un anno e l’ingaggio del giovane francese Pironi non ferma la Elf che abbandona la Tyrrell per dare i propri combustibili ai team francesi Renault e Ligier. La vittoria di Depailler a Monaco 78 segna l’inizio di un digiuno dal gradino più alto del podio che sembra interminabile. Tuttavia, Tyrrell si dimostra un ottimo mentore e scopritore di talenti. Al già citato Pironi, si aggiungono: Daly, Thackwell, Cheever, Zunino e un giovane milanese che risponde al nome di Michele Alboreto. Fu proprio “super-Michele” a rompere il digiuno dalle vittorie della Tyrrell vincendo prima a Las Vegas 82 e poi Detroit 83. Nel 1984 arriva l’onta della squalifica, con l’accusa di aver disputato un’intera stagione con la vettura sottopeso, bypassando il problema dei controlli post-gara inserendo dei piombini nei serbatoi dell’acqua pochi giri prima della fine. Proprio su una Tyrrell 012 debutta un’altro immenso talento, troppo presto volato in cielo: Stefan Bellof.
Nel 1987 arriva Harvey Postlewaite a cercar di risollevare una Tyrrell in crisi profonda. La genialità del progettista inglese porta alla nascita della o19 prima vettura da F1 a “muso alto” e il talent scout Ken Tyrrell porta in F1 un giovane oriundo francese di origini siciliane: Jean Alesi. Il secondo posto a Montecarlo del combattivo Alesi è il miglior risultato stagionale. Nel 1991 Postlewaite lascia la Tyrrell per la Sauber e inizia di nuovo la fase calante del team del boscaiolo. La Tyrrell più che combattere cerca di sopravvivere anche se nel finale della sua storia, nel 1997, esordiscono sulla 025 dei vistosi supporti aereodinamici rialzati posti sul cofano motore che verranno chiamati i “candelabri”. Tutti i team copiano questa soluzione nata per abbassare il baricentro della vettura, ma verranno aboliti perchè considerati pericolosi. Il 1998 è l’ultimo anno, ma è meglio non parlarne; Ken Tyrrell vende tutto alla BAT (che correrà con l’acronimo di BAR) e si ritira a vita privata. Morirà per un male incurabile il 25 agosto 2001.Se ci si basa solo ed esclusivamente sui numeri, si rischia di dare una dimensione totalmente sbagliata alla Tyrrell. 3 titoli mondiali ottenuti con lo stesso driver in un lasso di tempo di 5 anni, per di più agli albori della sua storia, sono un numero estremamente riduttivo. Bisogna ricordare il coraggio di un’uomo che ha fatto della Formula 1 una passione tutta sua e ha saputo fare cose impossibili pur di essere sempre li nel paddock. Un team che ha avuto il coraggio di portare innovazioni tecniche che talvolta sono stati dei flop, ma talvolta hanno stravolto il concetto aerodinamico che dominava in Formula 1, e togliere pure l’esclusiva dei motori DFV all’acerrima rivale Lotus. Coraggio, anche, nel prendere piloti giovani e acerbi e lanciarli in Formula 1 regalando al mondo talenti cristallini e grandi campioni. This i the Tyrrell, storia di un’uomo e di un team “with big balls”.
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