La questione motori ancora una volta agita il Campionato del mondo, con una estenuante lotta tra la FIA e i costruttori, impegnato in uno strano braccio di ferro che da un lato vede i fornitori di motori porre il veto sulle nuove unità motrici a basso costo o sulla proposta di prezzo massimo per la vendita dei motori stessi e, dall’altro uno di essi (la Ferrari) potrebbe esservi coinvolta direttamente. Senza contare tutte le questioni legate alla fornitura di motori “vecchi” ad altri team come la Red Bull, che forse avrebbe avuto maggiori prerogative rispetto al team Haas per avere i motori 2016, alla retromarcia della Renault che ha ben pensato di non proseguire nell’acquisizione della Lotus e ad altre innumerevoli questioni legate ai motori e non solo.
Su tutto, emerge una questione allarmante: la Formula 1 ha raggiunto dei costi esorbitanti, i team impiegano centinaia di persone per fare fronte a una realtà apparentemente più semplice ma in realtà sempre più complessa, fatta di progettazione, sviluppo, realizzazione delle componenti, assemblaggio e verifica in pista. Così, da un lato, mentre per l’aerodinamica lo sviluppo di fatto non finisce mai, anche se rimane confinato in alcune aree non legate ai rigori del regolamento tecnico, le componenti meccaniche vengono ancorate a paletti rigidissimi di progettazione e vengono costrette a sopportare stress di durata notevoli. Monoposto che vengono sviluppate al computer anche grazie a costosissimi simulatori che hanno soppiantato i test privati, mentre le gare hanno soppiantato i test collettivi. Si è abolito il warm-up, si sono prima ridotte e poi spezzate le qualifiche, si è introdotto il regime di parco chiuso, si sono ridotti e controllati i consumi prima delle gomme e poi della benzina, i sorpassi vengono monitorati al millimetro… Senza contare che le Power Unit montano 60 centraline per monitorare tutto il funzionamento del corpo motore, quando con gli aspirati ne bastava solo una e i volanti sono diventati dei costosissimi computer di bordo dove sono concentrate tutte le funzioni che erano sparse in vari punti della vettura. Una Formula 1 che ormai non è più parente di quello sport che esisteva fino a una ventina di ani fa, in cui i motori “clienti” erano cosa abituale (si pensi che la Ford ne produceva 3 tipi), così come i motori artigianali a basso costo prodotti da dei veri maestri come Brian Hart, che non saranno stati dei fulmini di guerra ma hanno permesso a Rubens Barrichello di conquistare una pole position. E come dimenticare il leggendario Cosworth DFV, altro motore di certo non proveniente da una Casa automobilistica e rivelatosi duraturo e vincente? Quindi, la Formula 1 non scoprirebbe nulla di nuovo, visto che da sempre è regnato un principio di solidarietà per il quale i team più grandi aiutavano quelli più piccoli. Ed è una cosa che aveva coinvolto anche le grandi Case come la Ferrari, che forniva i motori alla Minardi e, anni indietro, persino i telai (cosa che se adesso accadesse darebbe lavoro a parecchi avvocati, come puntualmente accaduto con il caso Honda-Super Aguri). Ma le squadre cambiano e la competizione pure, i circuiti storici vengono abbandonati in modo temporaneo (i casi di Spa e Montreal sono emblematici) o permanente e si costruiscono nuovi anfiteatri in luoghi che possono soddisfare finanziariamente le esigenze dei team, cui vengono rigirati i proventi incassati dalla FOM. Oppure i circuiti storici (vedi Silverstone e Hockenheim) vengono costretti ad accettare delle modifiche radicali ai layout per aumentare le capienze del pubblico o per renderli conformi agli standard di altre piste. Ormai è diventata una corsa non solo a chi vince di più ma anche a chi guadagna di più e può spendere conseguentemente di più, al netto delle spese dettate in modo principale dalle tasse di iscrizione, con una sorta di egoismo imperante e difesa strenua delle loro prerogative. La gara si fa non solo con le monoposto, ma anche con le hospitalities, perché se tempo fa bastavano 4 motorhome per organizzare un’intera gara di un team, adesso i camion arrivano in circuito 10 giorni prima della gara e i muretti sono tappezzati di monitor, con ingegneri e tecnici che ricordano ai piloti qualsiasi cosa deve fare, non lasciandolo libero di correre. Il pilota della Sauber Marcus EricssonE così si è creato il fenomeno dei piloti con la valigia, da sempre esistito ma in questi ultimi anni salito clamorosamente alla ribalta, visto che i piccoli team per fare fronte alle ingenti spese che hanno, non potendo ricorrere ai fondi elargiti dal Patto della Concordia, devono chiedere ai loro piloti di acquisire sponsor per sopravvivere nell’arco della stagione, finendo per sbatterli da un team all’altro per tamponare le situazioni di crisi (il caso di Felipe Nasr è emblematico, visto che i finanziamenti del Banco do Brasil hanno permesso di risollevare le sorti prima della Williams e poi della Sauber; il brasiliano in GP2 era compagno di team di Davide Valsecchi, ndr). Un campionato in cui a reggere i team spesso ci sono manager senza alcuna esperienza nel mondo delle corse ma che hanno solo un’enorme valigia di denaro e gestiscono scuderie che durano pochi anni, per poi scomparire dopo pochi anni magari sfruttando nomi cari al passato (come la Caterham o la stessa Lotus che sta rischiando la chiusura), fagocitando invece le scuderie che hanno fatto la storia di questo sport, che orgogliosamente rimangono in sella (Sauber e Williams, appunto). E così, anche un gesto banale ma utilissimo come chiedere la messa in moto da parte del pilota appartiene ormai all’archeologia della Formula 1. Senza dimenticare che anche sul piano della sicurezza in pista i notevoli cambiamenti apportati negli anni, dalle vie di fuga alle strutture della pit-lane, hanno generato una maggiore tutela dell’incolumità generale, ma il rischio è sempre dietro l’angolo e, a volte, la disorganizzazione in pista ha portato anche diversi problemi, data anche la difficoltà nel rimuovere le vetture; ne sa qualcosa Jules Bianchi.
E se si pensa anche che le Case costruttrici hanno fatto di tutto per cercare di creare una serie alternativa, un Campionato d’eccellenza in cui potevano spendere a piene mani, progetto che è miseramente naufragato anche perché, una dopo l’altra, le stesse Case hanno ritenuto troppo dispendiosa l’avventura nella serie, anche perché sopraffatte dalla crisi dei mercati (Renault, Toyota, Honda, BMW e Ford hanno abbandonato dopo poche stagioni) e hanno preferito dirottare altrove (WEC) o concentrare le loro ricerche in altri settori, trasferendo poi la tecnologia alla Formula 1, quando in passato era il contrario. Una Formula 1 sempre meno appetibile, quindi, ma che è riuscita a salvare se stessa dai terremoti che stavano per travolgerla, dagli scandali di Ecclestone alle minacce di Montezemolo (che si infervorò pure sulla riforma del sistema di punteggio; a proposito, pare strano pensare che in passato chi vinceva con 100 punti era un fuoriclasse e ora con il doppio dei punti il titolo lo si può solo sognare), spesso facendo retromarcia sulle decisioni prese dallo Strategy Group perché, forse, le vecchie abitudini e le vecchie decisioni sono quelle ancora in grado di funzionare (si pensi ai punti doppi o alle gomme slick). E proprio da questo e dalle lezioni del passato dovrebbe trarre insegnamento per risolvere i problemi che la stanno attanagliando. E sicuramente ne uscirà più forte di prima.
F1 La fiera delle vecchie (e costose) novitàF1Sport.it - F1 Formula 1 F1 Tecnica F1 News Team Analisi