15 giugno 2015 – Nuova puntata di F1 Legend che segue, a distanza di pochi giorni, il ricordo di Montreal 1995. Lo diciamo non a caso, perchè la protagonista di questo episodio è lei, la Ferrari 412T2, l’ultima a 12 cilindri, l’ultima con muso a formichiere, l’ultima a portare i numeri 27 e 28, l’ultima che usava benzine Agip… e l’elenco potrebbe continuare. Comunque, forse, è quella che ha traghettato la Ferrari nell’era Schumacher e del V10, il periodo d’oro più luccicante della storia di Maranello. In tutti questi elenchi di “ultima”, però, c’è anche una “prima”: si tratta, infatti, della prima monoposto su cui viene sperimentata la frizione al volante, per così dire inventata dalla McLaren l’anno precedente.
Una monoposto (progetto numero 647), questa, che dimentica le linee estreme della 412T1 e si ispira a concetti forse più convenzionali: un muso a formichiere classico, con una forma arrotondata, un alettone anteriore biplano e un alettone posteriore con profili orizzontali, senza disegni strani o ricerche varie, complici anche le modifiche regolamentari dopo gli incidenti mortali di Senna e Ratzenberger. Insomma, il trionfo della semplicità, che richiama, forse, i concetti ripresi da monoposto forse più fortunate come la Williams FW16 o la McLaren MP4/8, assumendo i caratteri del perfetto prototipo della Formula 1 degli anni 1990. Il mago Barnard, quindi, abbandona le linee estreme della T1 e bada alla semplicità per ospitare quello che potrebbe essere definito un piccolo mostro: il motore 044, derivazione diretta dello 043 con cui Claudio Lombardi strabiliò la concorrenza, visto che era capace di erogare quasi 900 cavalli, con una V di 75°, 4 valvole per cilindro e cambio trasversale scatolato ad accompagnare il tutto (di fatto venne solo ridotta la cilindrata). Il genio alessandrino non ci sarà più a seguirne lo sviluppo, visto che la Ferrari dirotterà tutto su Paolo Martinelli (che seguirà la nascita del V10) e Osamu Goto, ma la sua impronta rimane comunque indelebile anche su questo propulsore. Ma quello che farà più impressione, di questa vettura, è il rumore, un vero e proprio boato particolarmente acuto, con un numero di Hertz che raggiunge livelli mai registrati in pochi decimi di secondo, non appena Alesi e Berger misero il piede sul gas. Qualcosa di unico (anche perchè questo tipo di motori non è mai stato usato da nessuno) e semplicemente indescrivibile, oltre che inarrivabile per tutti gli altri. E se si uniscono le caratteristiche della vettura, molto compatta e agile, a quelle del motore, che schizzava a oltre 17.000 giri, ecco spiegato il motivo di certi comportamenti della vettura, come le scivolate di cui Berger è stato protagonista a Montecarlo in due giri consecutivi in qualifica, quando ha rischiato di fare l’amore con il muro a Mirabeau, citando una famosa frase di Michele Alboreto. Tanto agile da somigliare ad Alberto Tomba quando deve affrontare le porte di uno slalom; proprio il bolognese, fresco vincitore della Coppa del Mondo di sci, si presenta come mascotte di una monoposto che Montezemolo si augura sia “non bella ma vincente”.Tanta trazione e tanta coppia quindi, a discapito, forse, della potenza pura; ecco le caratteristiche di una vettura che, presentatasi senza velleità particolari (Todt e Barnard alla presentazione non si sbottonano, mentre Montezemolo si augura l’arrivo di qualche risultato in più), ben presto toglie il sonno a Benetton e Williams, visto che già nelle prime gare arriva sempre a podio e rischia di vincere già da subito. Ne sa qualcosa Michael Schumacher, che in Argentina si vede sopravanzare da Alesi, il quale rischia addirittura di andare a vincere la gara, e a Imola viene costretto a un clamoroso errore dal forcing impostogli da un Gerhard Berger in stato di grazia, piazzatosi in qualifica a soli 8 millesimi dal tedesco. Però, c’è anche il rovescio della medaglia ed è rappresentato dalla sfortuna: Berger a Imola viene costretto a retrocedere dietro a Hill e ad Alesi per aver spento il motore ai box, Alesi si ritira a Barcellona e Montecarlo quando viene tradito dal V12 che esplode in pieno rettilineo al Montmelò e, a Montecarlo, a causa di una inspiegabile incomprensione con Brundle. Praticamente, sarebbero stati 4 secondi posti consecutivi per il francese, che pregusta il momento del trionfo. Che immancabile arriva in un giorno speciale, quello del suo 31. compleanno, a Montreal; un trionfo tanto sperato quanto atteso dalla stessa Ferrari, consapevole del fatto che, sì, questa era una stagione in cui ci si poteva giocare quantomeno il Mondiale costruttori. Ecco perchè questa vittoria assume un’importanza fondamentale non solo per Alesi, ma anche per tutto l’ambiente ferrarista, visto che ha significato la conquista della vetta nel Mondiale costruttori (complice anche la perdita dei punti per Benetton e Williams in Brasile).
Ma da qui parte la svolta: si inizia a lavorare al V10 e a quello che sarà il futuro, che ha un nome e un cognome: Michael Schumacher; cosa che porterà al taglio dello sviluppo della 412T2, per la quale vennero già progettati e testati in galleria del vento dei pezzi nuovi, che vennero accantonati. E qui esce quello che forse nessuno si sarebbe mai aspettato: Alesi e Berger, nonostante disponessero di un mezzo inferiore, per scelta dei tecnici di Maranello, continuano imperterriti a cercare di raccogliere risultati: arriva un podio a Silverstone, a Hockenheim Berger, che deve scontare una penalizzazione, si lancia in una rimonta che ha quasi dell’incredibile se si pensa alla differenza di velocità con la quale svernicia uno dopo l’altro piloti come Hakkinen, Irvine, Herbert, Barrichello… e dopo il podio di Budapest a Spa in qualifica arriva la prima fila completa, con Alesi che brucia Berger al via e scappa subito, sin dal primo giro. Ma la sfortuna è in agguato e la sospensione posteriore sinistra della sua vettura lo obbliga al ritiro anticipato. Ma la più grande delusione la si vive due settimane più tardi, a Monza. Fuori Coulthard, Schumacher e Hill, le due Ferrari hanno gioco non facile, di più. I due V12 che spingono le ultime Ferrari 27 e 28 urlano che è una meraviglia, accompagnati dal frastuono dei tifosi che pregustano la doppietta. Ma ecco che arriva puntuale il colpo di scena: la telecamera posizionata sull’alettone posteriore di Alesi si stacca, si infila nel portamozzo della ruota posteriore destra e poi si scaglia contro la sospensione anteriore di Berger. Da 16 punti a zero, con Alesi che piange tra le braccia di Jean Todt; nonostante la Ferrari avesse già fatto le sue scelte per il futuro, nonostante la monoposto non ricevesse più sviluppo, nonostante entrambi fossero già in partenza verso la Benetton (l’austriaco non gradì il ruolo di scudiero di Schumacher, cosa che indurrà anche Niki Lauda ad andarsene), Jean e Gerhard volevano regalare l’ultima grande impresa al popolo rosso accorso in Brianza, magari per far ripensare Todt e Montezemolo, ma la sfortuna ci mise lo zampino. Anche al Nuerburgring e Suzuka ci furono altre due imprese pronte a essere servite, con Alesi che si trasforma in mago della pioggia e vola verso due vittorie che avrebbero dell’incredibile, visto anche il distacco che riuscì a imprimere agli avversari. Ma anche qui, il leggendario V12 decise di lasciare a piedi il francese a Suzuka e in Germania non permise a Jeannot di arrivare allo spunto finale, facendosi rimontare e superare da Schumacher.Ma il Leitmotiv di quella seconda parte di stagione furono le polemiche, che accompagnarono i momenti precedenti e successivi all’arrivo di Schumacher, a causa del mancato sviluppo della vettura e di certe decisioni forse ritenute inspiegabili, come l’ordine di scuderia impartito ad Alesi di lasciar passare Berger in Portogallo che scatenerà l’ira del francese su Todt. E a questo si aggiunge che nel corso dei primi test di Schumacher e Irvine vennero usati proprio i pezzi scartati da Barnard, cosa che permise di stracciare i record della pista a Fiorano e all’Estoril, vien da dire che quella della 412T2 è la storia di una grande incompiuta, che avrebbe potuto essere vincente se solo non fosse stata attanagliata dalla sfortuna e dai grossi problemi di affidabilità. Rimane comunque, forse, l’ultima monoposto con un’anima particolare, aggraziata come le sue linee e brutale come il V12 che conteneva al suo interno e come il modo in cui scaricava la potenza a terra. Un’anima pionieristica sottolineata dalle imprese di Alesi e dai risultati di Berger, che è destinata a non tornare più.
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