24 gennaio 2015 – Prosegue la serie di uscite “F1 Legend” dedicata alle grandi monoposto della storia della Formula 1. Si giunge al giro di boa e come svolta al calendario, non si poteva scegliere che una delle monoposto che hanno segnato profondamente la storia della Formula 1, anche dal punto di vista tecnico: la Lotus 49.
All’inizio fu un capriccio: E pensare che tutto nacque da un’inghippo, un capriccio e più semplicemente la totale mancanza di idee sul come si lavorava in Formula 1 all’epoca. Nel 1966 la Federazione decise repentinamente che i motori dovevano avere una cilindrata non superiore ai 3.000 cc. Bella mazzata a chi, vedi Mr. Chapman, aveva fatto della leggerezza un cavallo di battaglia. Per quella stagione, Chapman e Philippe tirano fuori dalle loro fabbriche la Lotus 43, prima vera Formula 1 con motore portante, spinta dal Brm H16. Il motore non sarebbe affatto male se fosse un tavolino con ripiano in plexiglass, ma montato su una F1 è un completo disastro. Pesa come un dannato, non è niente di eccezionale alla voce potenza e per di più si rompe con una facilità disarmante. Ok, anche Colin Chapman s’è preso una bella sola nella vita. Peccato che l’ex uomo RAF ha già un piano per il futuro. Nella cassaforte della sede di Hethel, c’è un contratto firmato firmato ambo parti con la Ford per una fornitura di motori a partire dal 1967. A stagione finita, con vittoria di Jim Clark a Watkins Glen, Chapman e Philippe si mettono subito al lavoro. La 43 sarà stata sfortunata, ma aveva un’idea di base molto buona, ovvero un motore atto non solo al ruolo di forza propulsiva, ma in grado di sorreggere frontalmente abitacolo e resto della scocca, mentre posteriormente cambio e sospensioni. Philippe, inoltre, pesca pure idee dalla 38 disegnata da Chapman e Len Terry per correre, e vincere, ad Indianapolis. Se ci metti pure che la Cosworth disegna un motore su misura per questo telaio, il mix è da far impallidire chiunque solo a leggerlo su carta. Nasce la Lotus 49 e, consentiteci il luogo comune, niente sarà più come prima.
Appena mette le ruote a terra, la Lotus 49 da subito i segni e mostra i tratti tipici delle predestinate. A Zandvoort si corre il Gran Premio d’Olanda 1967 e Chapman, dopo aver iniziato la stagione con la 43, mostra al mondo la neo nata 49. Clark stra vince, mentre Graham Hill chiude la gara anzitempo, a causa di un cedimento al motore. La Lotus 49 entra di diritto nella ristrettissima cerchia delle vetture vincenti al debutto e, a sorpresa, si candida subito al mondiale ’67. Per quanto può sembrare incredibile, a rallentare i sogni della Lotus e di Clark, è proprio il DFV. Potente, leggero e versatile si dimostra un motore dalle potenzialità enormi ma, come tutti i motori debuttanti, è anche molto acerbo. Guasti semplici come: candele, cavi elettrici, valvole o consumi inspiegabilmente cresciuti nel corso della gara, vanificheranno spesso lezioni di guida da parte dei maghi Clark ed Hill. Alla fine Jim Clark chiude terzo in classifica dietro solamente ad Hulme e Brabham, i due burberi oceanici che arriveranno spesso quasi alle mani in ogni prova del mondiale.
Il 1968: Nell’anno più rivoluzionario di tutto il ‘900, la Lotus 49 è pronta a dare anche lei un’impronta indelebile al mondo delle corse. Clark è accreditato come vincitore del terzo titolo in carriera con Graham Hill, suo compagno, unico uomo in grado d’impensierirlo. Lo scozzese volante vince in Sudafrica davanti proprio ad Hill, lanciando un chiarissimo segnale a tutti prima della lunga pausa prima del Gp di Spagna. Il destino, però, era un’altro rivale nella vita di piloti eroici e leggendari. In un’incidente che ancora oggi una spiegazione chiara non ce l’ha, Jim Clark perde la vita. E’ il 7 aprile 1968, e Clark stava correndo il Gran Premio di Germani di Formula 2 alla guida di una Lotus. E’ una delle più grandi tragedie nella storia della Formula 1. Con la Lotus menomata del suo pilota cardine, tutte le responsabilità passano sulle spalle di Graham Hill. L’inglese risponde presente, vincendo subito in Spagna e a Montecarlo, ma si deve guardare da un’incalzante, giovane, pilota scozzese in piena ascesa: Jackie Stewart. L’alfiere Matra vince in Olanda, Germania (4 minuti rifilati ad Hill nella nebbia al vecchio Nurburgring… non aggiungo altro!) e Stati Uniti. Da dietro, anche il campione del mondo ’67 Hulme tiene il passo dei primi e si presenta insieme ai due in lotta per il titolo all’ultima gara del mondiale. In Messico, Hill è leader con tre punti su Stewart e sei su Hulme. Il minimo sbaglio, e per il padre di Damon un’anno difficile tra sofferenze e lacrime per restare a galla potrebbe essere la fine di tutti i sogni. Invece Graham Hill è praticamente perfetto e si laurea per la seconda volta campione del mondo eguagliando proprio Clark alla quale dedicherà il titolo.
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