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F1 Legend: Williams FW18

Da Tony77g @antoniogranato

Cristian ButtazzoniF1Sport.it

3 agosto 2015 – Nuova puntata di F1Legend e primo episodio di quella che può essere definita una trilogia, che invece del Signore degli Anelli ha per protagonista il Signore delle Corone. Di che tipo? Ovviamente iridate, se si parla dei risultati partoriti dal genio di Adrian Newey, l’ingegnere che viene dalla terra di Shakespeare, che è stato capace di rivoluzionare in modo quasi copernicano il modo di costruire le vetture, dando un’importanza fondamentale all’aerodinamica.

La prima protagonista di questa trilogia è ovviamente la prima vettura che Newey porta al successo, ossia la Williams, e in particolare quella che può essere definita la migliore vettura di Sir Frank di sempre progettata senza aiuti elettronici, la FW18.

F1 Legend: Williams FW18

Una monoposto che Adrian Newey poteva persino disegnare a mano libera, da tanto bene che conosceva le sue linee, frutto del miglioramento del progetto della FW17. Una linea semplice, quindi, con un muso alto particolarmente sottile; forme praticamente squadrate, fin troppo semplici, verrebbe da dire indovinate.

La FW18 è una di quelle monoposto che si disegnerebbero a occhi chiusi, con quei due enormi deviatori di flusso laterali e quei due alettoni che sembra si completino a vicenda. La FW17 che, ricordiamolo, fu una vera e propria rivoluzione rispetto alla precedente FW16, soprattutto per l’innalzamento del musetto e la forma dell’alettone posteriore. E’ la monoposto del riscatto di Newey, subissato di polemiche dopo l’incidente mortale che è costato la vita ad Ayrton Senna insieme a Frank Williams e Patrick Head, che adotta poche modifiche rispetto alla FW17, ovverosia le protezioni ai lati della testa del pilota, imposte per regolamento, e l’alettone posteriore collegato agli scivoli posti davanti alle ruote posteriori. Ma le malelingue potrebbero dire che le due monoposto di Didcot non avevano concorrenza, che potevano dormire sonni tranquilli…

Damon-Hill-Williams
E’ vero, ma, dall’essere favoriti sulla carta a essere favoriti in pista c’è di mezzo una squadra da costruire, ci sono due piloti con nomi e due carriere molto ingombranti da portare in alto e far convivere e ci sono molti chilometri da percorrere. 9000, per la precisione. Tanti sono i chilometri che le Williams percorrono, anche con il test driver Jean-Christophe Bouillon, che portano questa monoposto a surclassare nettamente la concorrenza.

Forse, questa potrebbe essere considerata la monoposto degli addii eccellenti, visto che forse Frank Williams ha messo sulla graticola non solo lo stesso Newey, ma anche Damon Hill. Ecco il pilota dal cognome ingombrante con un’etichetta poco edificante, quella di “Captain Zero”, che ha già dovuto ingoiare due brucianti sconfitte iridate e viene messo alla prova, anzi si potrebbe dire alla porta, da Sir Frank. Newey sembra venirgli in soccorso, mettendogli a disposizione un vero e proprio missile capace di superare gli avversari anche con distacchi elevati. Peccato che sull’altra monoposto c’è la prova che Hill dovrà superare per guadagnarsi il rinnovo, e questa prova si chiama Jacques Villeneuve. Il figlio dell’Aviatore arriva in Europa forte del titolo Indycar conquistato l’anno prima e di una 500 Miglia di Indianapolis vinta pressochè a mani basse, ben intenzionato a turbare i sogni di gloria dell’inglese.

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Detto, fatto. Prima gara, nuovo circuito (Melbourne), nuovo format delle qualifiche con unica sessione; pole position, Jacques Villeneuve, secondo Damon Hill. Per l’inglese si tratta del primo campanello d’allarme stagionale, visto che anche in gara il canadese sembra imprendibile. Viene bloccato solo da un cartello “slow” per problemi di perdita d’olio, che lo costringono a dare strada a un Damon Hill che taglia il traguardo con una FW18 colorata di marrone. Ma tra i due le cose cominciano ad andare storte sin da subito, sembra quasi di rivivere i fasti dell’epopea dei duelli tra Prost e Senna o l’atmosfera incandescente ai box della Ferrari nel 1990 tra Mansell e Prost. Hanno, però, un vantaggio: la FW18, con la quale stracciano letteralmente la concorrenza vincendo 12 gare su 16 e quando non vincono arrivano quasi sempre sul podio, tranne in 2 occasioni: nella roulette di Montecarlo, dove a vincere è a sorpresa Panis, e a Monza, quando nel tripudio generale Michael Schumacher conquista la sua terza vittoria con la Ferrari. Ecco, quindi, che la nuova Williams schiacciasassi non ha solo uno, ma bensì due piloti di punta in grado di giocarsi il titolo e la lotta sarà riservata esclusivamente a loro due.

Solo questi due team riusciranno ad approfittare della sfortuna e di alcuni errori che capitano alle due Williams, ma per il resto si tratta di un vero e proprio assolo (12 vittorie, 12 pole position e 11 giri più veloci; 175 punti in classifica, staccando di oltre 100 lunghezze la Ferrari), con la rivalità tra Hill e Villeneuve che esplode in tutta la sua forza, soprattutto nella gara che consegna al team di Sir Frank il suo penultimo Mondiale costruttori, a Budapest. Ma alla fine sarà uno dei rari ritiri per noie tecniche a consegnare al figlio del grande Graham il suo primo e unico Mondiale, prima del suo approdo alla Arrows.

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Una doppietta iridata vera, di quelle che non si ricordavano da tempo, che fa subito tornare alla mente il fragoroso duello tra Prost e Senna a bordo della McLaren Mp4/4, il team al quale Newey approderà, come detto, dopo aver concluso la sua avventura in Williams, regalando alla scuderia di Didcot un’ultima vettura vincente, la FW19, ma in questo caso la conquista del doppio titolo sarà più ardua.

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