30 novembre 2014 – Dove ha vinto il titolo Lewis Hamilton? Sicuramente ad Abu Dhabi, probabilmente a Spa, forse a Indianapolis… di certo la lotta in famiglia con il “fratello coltello” Nico Rosberg è durata tutta una stagione e ha vissuto una continua altalena tra sorpassi e controsorpassi in classifica che hanno portato emozioni forti, divisioni interne, scossoni all’interno del box, con Lauda e Wolff che hanno saputo, comunque, gestire la situazione in modo egregio.
Ma andiamo con ordine e iniziamo proprio dalla prima gara, quando Hamilton si ferma dopo solo 3 giri per un problema alla Power Unit, mentre Rosberg, partito terzo, lo brucia già al via e si invola verso la più facile delle vittorie. 25 a 0 per Rosberg


In Cina Hamilton vince senza concedere nulla a Rosberg, mentre in Spagna Lewis vince con un distacco minimo e si porta finalmente in testa al Mondiale. Però le insidie sono appena iniziate e proprio nel dopogara di Barcellona scoppia il caso “Overtake” e Rosberg, pur accettando le scuse, è pronto a fargliela pagare. La vendetta viene servita a Montecarlo, quando Rosberg al termine delle prove parcheggia la vettura contro


La svolta nel Mondiale arriva nelle due gare successive. In Ungheria, Lewis ancora una volta è costretto a prendere il via dal fondo dello schieramento a causa di un principio di incendio sulla Power Unit della sua W05; Rosberg invece parte dalla pole. In gara, però, ancora una volta Hamilton si fa valere e, quando si trova davanti a Rosberg con le gomme ancora da cambiare, dai box riceve l’ordine di scuderia. Ma Lewis dichiara esplicitamente al suo ingegnere di pista di non volerlo far passare. Va in scena quindi un altro episodio della guerra interna tra i due, che a fine gara, complice la rimonta di Rosberg dopo il pit-stop, si ritrovano nuovamente appaiati e Lewis ancora una volta resiste a Nico fino al traguardo.
La vera rivoluzione in casa Mercedes va in scena a Spa, con Rosberg che sul bagnato vola verso la pole position, mentre Hamilton appare attardato a causa di problemi ai freni. E’ la quinta qualifica consecutiva in cui


Si arriva a Monza, con Rosberg intenzionato a mantenere la leadership, con il vantaggio che sale a 29 punti, e a rafforzarla. Ma Hamilton inizia proprio dall’appuntamento italiano l’operazione di recupero. Infatti, guasta i piani di Nico già in qualifica, conquistando la pole, ma parte male, lasciando via libera al rivale. Rosberg accumula un buon vantaggio, ma è vittima della sua stessa foga, che lo porta a sbagliare più volte la frenata alla prima variante. Fino a che, dopo il pit-stop, arriva l’errore decisivo: Nico va lungo e deve percorrere la via di fuga. Hamilton non si fa certo attendere e si prende la leadership della gara. Con una serie di giri veloci aumenta il margine e stende la resistenza di Rosberg, che non può far altro che assistere alla vittoria del compagno, che accorcia le distanze e si porta a -22.
A Singapore ecco il colpo di scena che non ti aspetti: stavolta la pole è di Hamilton, ma Rosberg è costretto a partire dai box per un problema al cambio. La gara finisce già in partenza e il suo tentativo di recuperare si vanifica con il ritiro. Hamilton salta di nuovo in testa alla classifica, e questa volta il comando non lo cederà più.
A Suzuka, infatti, sebbene la gara fosse stata interrotta dalla bandiera rossa per l’incidente di Bianchi, Hamilton, partito dalla sevconda posizione in griglia, sfrutta le sue doti di guida sul bagnato chelo hanno portato a vincere sui kart (da qui il suo numero, 44, che manterrà anche dopo la conquista del titolo, rinunciando al numero 1) e al 29. passaggio rifila un incredibile sorpasso all’esterno a Rosberg alla prima curva, quella dove Senna e Prost finirono la loro corsa nel 1990. Già, Senna e Prost, un paragone azzardato che in molti hanno intravisto nel corso della stagione e che lo stesso Hamilton ha fatto, nel corso di alcune dichiarazioni alla stampa dopo la gara di Spa: “Reagirò come Senna per dirimere la questione…” ha dichiarato Lewis dopo Montecarlo, alludendo a quanto accadde tra il 1989 e il 1990 tra il brasiliano e Prost. Facile intravedere delle analogie con quegli anni e in particolare il 1988, anche per l’invincibile Mercedes W05, che colleziona 18 pole position su 19 gare e 16 vittorie, battendo proprio i record della fortissima McLaren MP4/4 progettata da Gordon Murray. Paragone scartato da Toto Wolff, che vede le due situazioni molto diverse tra di loro.
Si arriva nella nu

Hamilton ormai è lanciato verso il titolo, ma anche ad Austin sembra ripetersi il copione di Suzuka. Rosberg va in pole e prenota la vittoria, ma Hamilton in gara non cede di un millimetro e replica quello che ha fatto 2 anni prima con Vettel: mantiene la posizione al via nonostante parta sul lato sporco della pista e tiene costantemente il fiato sul collo di Rosberg. Fino a che, prima della metà dei giri, va a prendersi la leadership nello stesso punto in ci 2 anni prima l’aveva tolta a Vettel e va al pit-stop da leader. Infatti, come a Monza, inizia a forzare e per Rosberg non c’è più nulla da fare. Fragilità psicologica di Rosberg? La pressione adesso è tutta dalla sua parte e lui sembra non sentirla, dicendo solo “Ho fatto un errore con i pulsanti”, ma tanto è bastato per permettere a Hamilton di sorprenderlo e il distacco finale è di 4 secondi e mezzo, ma a turbare il sonno di Hamilton è il vantaggio su Rosberg nel mondiale, 24 punti. Che non bastano per laurearsi Campione del mondo in Brasile (gliene serviva uno in più), e in terra carioca Rosberg gli giocherà un brutto scherzo.
Nico infatti scatta dalla pole position, con Lewis che sembra intenzionato a ripetere la gara precedente; gli mette pressione, mentre il rivale tenta di scappare. Il tira e molla dura fino al giro 27, quando Hamilton va lungo alla Reta Oposta e deve soccombere al compagno di squadra. A nulla infatti varrà il recupero che lo riporterà nei tubi di scarico di Rosberg, visto che Nico non si farà superare e andrà a vincere, portando il distacco a -17.
Si arriva così all’ultima gara, quella che assegna il temutissimo punteggio doppio, quella che può portare Hamilton dall’altare alla polvere e quello che assegna senza appello il titolo mondiale a uno dei due piloti. Si fanno le strategie, le alleanze, i discorsi più fantasiosi, i calcoli; il tutto in uno scenario da mille e una notte, con il cielo che assume le sfumature più incredibili. Hamilton è il più veloce nelle libere del venerdì, ma il sabato la musica cambia: già dalla mattina Rosberg è il più veloce e in qualifica rifila un distacco pesantissimo a Hamilton (per quelli che erano i valori in campo), ben 4 decimi. Si iniziano a fare i discorsi più strani, si cercano agganci con Massa e Bottas, si prova a immaginare un Rosberg in fuga… ma proprio qui si materializza una delle frasi più significative pronunciate dal pilota di Granada: “Il momento più bello non è quando hai vinto e tutti ti abbracciano. Il momento più bello è la mattina della gara quando ti svegli e te la fai sotto. Quella sensazione di aver fatto tutto il possibile e di essere pronto, è una sensazione che chi gioca sporco non potrà mai provare.” Infatti, quando si spengono le luci rosse accade proprio



A conti fatti, ha vinto il pilota che forse ha meritato di più, con 11 vittorie su 19 gare e un vantaggio finale di 67 punti su Rosberg (ecco come i doppi punti costituiscono un’arma a doppio taglio). Il pilota che, stando a un’analisi della Gazzetta dello Sport, unisce in sè la velocità di Senna (suo idolo), la costanza di Michael Schumacher, la grinta di Mansell, il piacere della vita mondana di Hunt (a questo proposito, in molti ritengono che il ritorno di Nicole Scherzinger gli abbia dato molta più serenità) e la capacità di ragionamento e di non arrendersi mai dell’uomo che lo ha strappato alla McLaren, Niki Lauda. Del quale, forse, più di qualcuno dubitava come manager viste le precedenti esperienze in Jaguar e Ferrari, ma che grazie alla collaborazione con Toto Wolff e Paddy Lowe (anche lui uscito dal team di Woking) e al genio di Aldo Costa ha saputo creare una vera corazzata, degna della Ferrari e della McLaren negli anni in cui da pilota si è aggiudicato quel trofeo che adesso Hamilton stringe orgogliosamente e meritatamente tra le mani.
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