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F1 Storia: L’Autodromo Hermanos Rodriguez e le sue storie

Da Tony77g @antoniogranato

Cristian ButtazzoniF1Sport.it

29 ottobre 2015 – Il circuito Hermanos Rodriguez, sul quale si correrà la prossima gara del Mondiale di Formula 1, potrebbe essere definito riprendendo il titolo di un famoso film: “là dove osano le aquile”. Infatti, il circuito è noto per la sua altitudine (2300 metri) e, per i nomi che si sono avvicendati e per le sfide incrociate che hanno visto protagonisti i migliori piloti degli anni Sessanta, Ottanta e Novanta.

Si sono infatti vissute sfide epiche anche per l’aggiudicazione del titolo mondiale, si sono scritte delle pagine di storia, come la prima vittoria della Honda a opera di Richie Ginther o come la prima vittoria di Gerhard Berger e della Benetton nell’edizione 1986. Un circuito tosto, caratterizzato dalla peculiarità di essere costruito sfruttando e ampliando un ovale e ricavandone una curva leggendaria, la Peraltada, seguita da un rettilineo di oltre 1 chilometro, con condizioni di asfalto spesso e volentieri non ottimali, che hanno messo a repentaglio la sicurezza dei piloti. Ma già il nome contiene in sé il simbolo di una tragedia: quella consumatasi nella prima edizione della gara, il 1 novembre 1962 (anche quest’anno, per inciso, si correrà il 1 novembre) e che

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coinvolge Ricardo Rodriguez proprio al via della gara, quando non assumeva valenza mondiale. Un pilota, il messicano, che il pubblico amava particolarmente per il suo carattere irruento sia in pista che fuori, audace e particolarmente veloce, che indusse Enzo Ferrari a tenerlo a freno, anche perché all’epoca è stato il pilota più giovane della storia della Formula 1. Diverso dal fratello Pedro, che invece è meno aggressivo ma ugualmente efficace, sia in Formula 1 che nel Mondiale Marche. Verrebbe quasi da chiamarli il diavolo e l’acquasanta, visto il loro atteggiamento così diverso in pista. Ma come dimenticare, in quegli anni, i duelli fratricidi tra compagni di squadra, come quello tra Denny Hulme e Jack Brabham nel 1967, in cui fu il neozela
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ndese ad aggiudicarsi il titolo dopo essere finiti dietro al suo compagno di squadra e costruttore australiano, cosa che gli costerà l’allontanamento dal team? E come dimenticare il duello tutto in salsa inglese tra John Surtees, Graham Hill e Jim Clark, con il pilota della Ferrari che grazie a questa gara entra nella leggenda come l’unico al mondo a vincere su due e quattro ruote? O come dimenticare il secondo titolo di Graham Hill, conquistato proprio grazie a un trionfo in terra messicana?
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Impossibile. Come impossibile dimenticare un altro nome che rimane indelebilmente scolpito nella storia della Formula 1, quello di Jochen Rindt. Ma per l’austriaco, l’ingresso nella leggenda avviene direttamente, senza passare per l’insormontabile muro della storia, grazie a quel titolo mondiale che gli viene assegnato nonostante le Ferrari di Jacky Ickx e Clay Regazzoni provino a fare di tutto per cercare di portarglielo via.

Per uno strano scherzo del destino, forse è stata proprio la morte di Rindt a indurre gli organizzatori della gara a chiudere i battenti per un lungo letargo. Un lungo

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inverno durato 16 anni dal quale il risveglio sarà incredibile e suggestivo. La pista viene ribattezzata, appunto, Hermanos Rodriguez e nella prima edizione della nuova gara sul nuovo circuito c’è una sorpresa: una prima vittoria di un pilota e di un team, Gerhard Berger al volante della coloratissima Benetton che con le gomme Pirelli (che erano più colorate di adesso) manda in crisi tutti gli avversari gommati Goodyear e va a vincere senza nemmeno cambiare le gomme. Negli anni successivi, sono i pretendenti al titolo a darsi battaglia sul circuito messicano, a iniziare da Nigel Mansell, che nel 1987, quando ancora era in lotta per il titolo, vinse la gara approfittando anche della bandiera rossa. Sarà l’inglese, insieme a Prost, a farla da padrone sul circuito messicano, con entrambi che si rendono splendidi protagonisti della doppietta per la Ferrari nel 1990. Sarà proprio l’inglese a regalare spettacolo quando conquista il secondo posto superando di forza Berger alla Peraltada, quando ancora questa curva conservava tutta la sua carica di adrenalinica pericolosità.

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Aspetto questo che rende il tracciato teatro di incidenti anche piuttosto seri, come quello capitato ancora una volta a Mansell nel 1987 nel corso delle qualifiche, che però non impedisce al coriaceo e testardo pilota inglese di conquistare la pole position. Cinque anni più tardi, però, la Peraltada tradisce Ayrton Senna, che va a sbattere nel corso delle qualifiche del venerdì, ma ne esce fortunatamente illeso. C’è anche spazio per una bella storia accaduta l’anno prima, quella di Riccardo Patrese, che conquista la pole position ma scatta male, perde 4 posizioni, ma dopo nemmeno un quarto di gara riesce a riportarsi in testa per non cederla più, nemmeno a Mansell
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che lo tallona fino al traguardo, mentre la super-McLaren di Ayrton Senna giunge al traguardo con un distacco infinito: ben 57 secondi. Facendo i dovuti calcoli, i due della Williams hanno guadagnato su di lui più di un secondo al giro, mentre gli altri finiscono tutti doppiati. Un ritmo impressionante, che lascia intravedere quelli che saranno gli sviluppi futuri della stagione e del 1992, l’anno del trionfo di Mansell. Ma questa è un’altra storia.

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