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Fa Caldo

Creato il 18 ottobre 2014 da Abattoir

di Fabio Campoccia

C’è un uomo seduto all’interno di una piccola stanza, al buio, indeciso se uscire dalla stanza, oppure fare quello che ha sempre fatto: restare seduto.

Adoro guardare l’alba a mare.
Credo sia il momento migliore.
Di notte fa troppo freddo.
E poi di notte il buio è avvilente.
Io ho sempre odiato il buio.
Di giorno invece fa troppo caldo, troppa luce.
Ora è buio ma fra un po’ una lama di luce avanzerà lenta dall’est.
Il momento migliore: né troppo caldo, né troppo freddo.
Luce che spazza via il vento notturno.
Luce ma non troppo, caldo ma non troppo.
Luce e caldo di un’altalena di eccessi che all’alba convergono al “non troppo”.

Non so bene cosa stia succedendo. Non riesco a farmene un’idea. Sembra che il mondo sia impazzito. Tutta quella gente che sbraita, che si ribella. Ma perché lo fanno? Le cose qui sono sempre andate in un certo modo. È sempre stato così e così sarà sempre. Fa parte della nostra cultura. Noi siamo così. Pigri. Ci piace farci i fatti nostri. Sì, parliamo, diciamo, condanniamo, critichiamo, proponiamo, inventiamo, distruggiamo e ricostruiamo il paese a parole mentre passeggiamo al mercato a prendere il fresco. Invochiamo grandi valori, grandi uomini, grandi futuri e naturalmente il nostro grande passato. Poi torniamo a casa, e dimentichiamo. E tutto resta uguale. Sempre uguale. Mi diverte ascoltare la gente parlare di politica.
Loro dicono che noi siamo corrotti, e noi rispondiamo che lo sono anche loro.
Quindi non vale.
Loro ci ricordano che in passato abbiamo ucciso tanta gente, e noi rispondiamo che in passato lo hanno fatto anche loro.
Quindi non vale.
Loro dicono che noi non abbiamo moralità, e noi dimostriamo che neanche loro ce l’hanno.
Quindi non vale.
E così via. Due torti fanno una ragione. E se entrambe le parti hanno colpe è come se nessuna ne avesse. Mi fa sorridere questo modo di ragionare. Perché vuol dire che tutto DEVE restare com’è.
Ma a noi sta bene così. Perché siamo così: pigri.

La sigaretta si consuma lentamente su un posacenere abbandonato.
Io non sopporto gli idealismi, i moralismi, le idee e le infinite chiacchiere dei patrioti, degli intellettuali impegnati. Per me le cose sono bianche o nere. Chi parla troppo vuole solo confonderti.
In fondo tutto è molto semplice. Chi è al potere vuole solo mantenerlo. Chi ricade sotto i privilegi del potere si professa sempre d’accordo con le idee del governo. Chi ne ricade al di fuori si professa di ideologia avversa. Le ideologie… ma fatemi il favore! All’uguaglianza ci tiene solo chi ha di meno. Non appena il povero diventa ricco si dimentica dei suoi “ideali”. E lotta contro l’uguaglianza.
È sempre stato così qui. E così sarà sempre.
Noi siamo così, pigri. Non li vogliamo i cambiamenti.
Io sono stato fin dal principio dalla parte giusta. Mi è andata bene. Mi piace ricevere ordini. Mi piace obbedire. Chi comanda ha sempre le idee chiare su tutto. E a me non tocca mai decidere nulla. Io obbedisco e basta.

C’è un uomo seduto all’interno di una piccola stanza, al buio, indeciso se uscire dalla stanza, oppure fare quello che ha sempre fatto: restare seduto.
Il soldato semplice Ahmed Hussein è seduto all’interno dell’abitacolo del suo aereo, al buio. La sua missione è sorvolare Tripoli, identificare la posizione della folla di ribelli e al “GO” del suo sergente maggiore, bombardare la folla. Il regime del rais non ammette ribellioni, è sempre stato così e così sarà sempre.
Ora il soldato semplice Ahmed Hussein è in volo. Punta verso le mura della città, proprio ai confini col deserto.
Una falce di luce da est comincia lentamente a sfregiare il buio. Il sole nascente che appare dal mare illumina piano il deserto. Il soldato semplice Ahmed Hussein avvista la folla ed è pronto a bombardarla. Succede proprio mentre l’alba limpida accarezza la costa.

Lui adora guardare l’alba a mare.
Crede sia il momento migliore.
Di notte fa troppo freddo.
E poi di notte il buio è avvilente.
Di giorno invece fa troppo caldo, troppa luce.
Ora è il momento migliore: né troppo caldo, né troppo freddo.
La luce spazza via il vento notturno.
Luce ma non troppo, caldo ma non troppo.
Luce e caldo di un’altalena di eccessi che solo all’alba converge al “non troppo”.
Come il suo paese che raramente ha trovato pace.
Esattamente pochi attimi prima di lanciare le bombe gli succede una cosa. Può capire solo chi l’ha provato. Non si può spiegarlo a chi non conosce quella sensazione.

Il soldato semplice Ahmed Hussein improvvisamente scopre di essere innamorato. Innamorato della sua gente, della sua terra, del vento afoso che trasporta sabbia, delle mura delle città antiche, del suono della sua lingua, delle preghiere che sa a memoria, della voce severa di sua madre, delle notti gelide del deserto, del cibo di casa sua.
Ha già inquadrato l’obiettivo.
– Fuoco!
Sente alla radio il sergente maggiore Muzi Akelele che gli ordina di lanciare le bombe. Il suo tono di voce è nervoso, perentorio. L’ordine deve essere eseguito immediatamente. Non bisogna mai dubitare di nulla. Mai tergiversare.
Ma il soldato semplice Ahmed Hussein ora è innamorato. Come si può chiedere ad un uomo innamorato di uccidere i suoi fratelli? Come si può convincere un uomo innamorato dell’immutabilità delle cose? Come gli si fa accettare l’impossibilità di un cambiamento?
Nel suo paese tutto è sempre stato così, ma come sarà il futuro? Chi può saperlo?

Ahmed Hussein non è più un soldato semplice, non è più un semplice soldato. Lo ha appena deciso. Non lancia le bombe. Spegne la radio. Vira verso il mare, spingendo l’aereo alla massima velocità e poi, poco prima dell’impatto, si lancia col paracadute.
Disperso in azione raccontò qualcuno. Traditore disse qualcun altro.
Ahmed toccò terra, si liberò dalla sua uniforme e con alle spalle il sole cocente del primo mattino corse versa la sua gente, verso i ribelli, e si unì a loro.
Noi siamo così: pigri. Tutto qui è sempre stato uguale, e resterà per sempre uguale.
O forse no? Chi può saperlo?

E se contemporaneamente tutti gli uomini seduti su una sedia al buio decidessero di alzarsi?


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