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Il cinema indipendente americano sta lasciando sempre più importanti e marcate impronte nel suo passaggio, diventando lentamente un genere a sé stante, ricco di contenuti e di tematiche interessanti. Lato negativo del diventare una categoria autonoma è però quello di avere dei propri temi che vanno necessariamente sviluppati in un determinato modo. È forse questo uno dei punti più problematici di Fa' la cosa sbagliata che, se da un lato tenta disperatamente di lasciare un'impronta indimenticabile nella cinematografia moderna, dall’altro risulta essere una pellicola piuttosto ridondante e insipida. Trattando qua e là temi importanti, il film trova il suo sviluppo più interessante nella fotografia granulosa e tendente al giallo curata da Petra Korner, che gioca con questa tonalità facendola diventare fastidiosa quando ce n’è bisogno e invitante quando deve esserlo. Il regista Jonathan Levine (autore del più recente 50 e 50 – All we need is love) fa un buon lavoro nel suo piano di regia semplice e diretto, tuttavia la sceneggiatura che lui stesso ha firmato non brilla per originalità, all'interno della quale ritroviamo tantissimi dialoghi basati sul nulla che, se da un certo punto di vista fanno capire quanto sia importante riuscire a distinguere i buoni consigli da quelli dati tanto per fare, non riescono comunque a convincere completamente per tutta la durata del film, incidendo non poco su un ritmo già non frenetico di suo. Tema fondamentale del film è il riuscire a convivere con le delusioni che la vita ha in serbo per noi, facendo di queste una forza personale e riuscendo a guardare sempre il lato positivo delle cose. Molto interessante, per quanto riguarda lo script, l’idea di mettere a confronto due generazioni diverse, mostrando la differenza tra il fare stupidaggini da adolescenti e l’essere infantili e immaturi. Luke, interpretato da un Josh Peck convincente solo in alcune parti, è un personaggio che ha molto da raccontare e da insegnare a persone come i suoi genitori o come lo stesso dr. Squires, che ha le fattezze di un Ben Kingsley istrione, il quale dimostra ancora una volta di essere un ottimo interprete sia comico che drammatico. Emblematici i minuti finali, dove quei pochi istanti di silenzio all’interno di un mare simbolico valgono ben più di tutti i dialoghi che vengono recitati durante il corso del film. Nonostante non manchino i lati negativi, più per una inesperienza da sceneggiatore che per altro, questo film ha molto da dire e vale la pena perdere una serata ad ascoltare i deliranti consigli di Jeff e a commuoversi per l’enorme maturità di Luke, i quali riescono a divertire e a coinvolgere lo spettatore, anche se qua e là, causa il ridondante messaggio e la lentezza narrativa, l’attenzione potrebbe calare. Jonathan Levine dimostra comunque di avere le carte in regola per poter riuscire a regalarci qualche capolavoro in un futuro non molto lontano. Se amate il cinema indipendente americano dal finale non proprio felice, la filmografia di questo particolare e giovane regista è quello che fa per voi, in attesa di una uscita italiana (almeno in Home Video) della sua opera prima All the boys love Mandy Lane.
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