In un vecchio motel una televisione d’epoca mi obbliga alla visione di un genere per cui ho un rigetto. In un paese sperduto dell’entroterra peninsulare sta passando Lele. Le strade sono polverose e abbandonate, puzzano di terra, di rancido, di negligenza. Le porte di legno ingrigito dal tempo sono sbarrate. Non c’è anima viva. Nel suo cammino solitario Lele incontra un gruppo di adolescenti cenciosi. Occhi storti, denti sgranati, pelle sporca. Gli vanno incontro e lo circondano. Ha acceso in loro l’istinto più brutale. La fame. L’alito dei cani, pronti a cibarsi degli avanzi dei loro migliori amici, infetta l’aria invocando il cannibalismo. Il gruppetto inizia a molestare Lele nella speranza che il suo vigore sfiorisca sfiancato dalle insistenti avances. Lo toccano, lo strattonano, ma non hanno la forza di afferrarlo definitivamente per cibarsene. Lele sbraccia, spartisce pugni e sputi in segno di disprezzo per allontanarli. Ma loro non mollano, anche se non hanno la forza per correre gli stanno alle calcagna barcollandogli addosso e impedendogli la fuga. Lele non riesce a divincolarsi da questo cerchio infernale, la sua anima è solo un dessert. Ferma in un vicolo c’è una bicicletta rossa da donna. Dea ex machina. La prende al volo lasciandoseli alle spalle. Ora bisogna scappare dai carnefici, bisogna lasciare il paese. Purtroppo si deve passare attraverso una galleria privata a forma di imbuto, gli ingressi sono contrapposti agli apici. Un traforo di cemento a forma di U. Qualunque sia il tuo ingresso, l’uscita va scalata energicamente a causa della pendenza. L’ingresso è spalancato perché qualcuno è appena entrato precedendo Lele che si lancia in una discesa forsennata per non patire troppo la ripida salita. Ma l’uscita è già sbarrata. Da una feritoia scorge una gang dietro le porte di ferro. Sono grandi, grossi, virili, motorizzati, professionisti della caccia all’uomo. È la serie A dell'antropofagia. Stanno cercando la chiave di ingresso e se lo prendono è la fine. Lele fa spasmodicamente dietro-front nella speranza di potersi nascondere in un anfratto, ma il tunnel è deserto. Non ha angoli, rientranze o colonne dietro cui rannicchiarsi. Stavolta la rincorsa non gli è bastata, deve prendere a braccio la bicicletta per non privarsene in seguito. In cima alla salita, sulla destra c'è uno scorri mano a cui aggrapparsi per non scivolare giù e una presa d’aria larga appena un metro quadrato. Il cellophane impedisce di testarne l’ampiezza, dilaniarlo gli toglierà altri secondi utili alla salvezza. La gang sta sferragliando per aprire il portone e il rumore si fa sempre più forte. Con una piccola manovra Lele riesce a spingere fuori la bicicletta forzandone il telaio. Il portone si spalanca, la gang si prepara all’ingresso.
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In un vecchio motel una televisione d’epoca mi obbliga alla visione di un genere per cui ho un rigetto. In un paese sperduto dell’entroterra peninsulare sta passando Lele. Le strade sono polverose e abbandonate, puzzano di terra, di rancido, di negligenza. Le porte di legno ingrigito dal tempo sono sbarrate. Non c’è anima viva. Nel suo cammino solitario Lele incontra un gruppo di adolescenti cenciosi. Occhi storti, denti sgranati, pelle sporca. Gli vanno incontro e lo circondano. Ha acceso in loro l’istinto più brutale. La fame. L’alito dei cani, pronti a cibarsi degli avanzi dei loro migliori amici, infetta l’aria invocando il cannibalismo. Il gruppetto inizia a molestare Lele nella speranza che il suo vigore sfiorisca sfiancato dalle insistenti avances. Lo toccano, lo strattonano, ma non hanno la forza di afferrarlo definitivamente per cibarsene. Lele sbraccia, spartisce pugni e sputi in segno di disprezzo per allontanarli. Ma loro non mollano, anche se non hanno la forza per correre gli stanno alle calcagna barcollandogli addosso e impedendogli la fuga. Lele non riesce a divincolarsi da questo cerchio infernale, la sua anima è solo un dessert. Ferma in un vicolo c’è una bicicletta rossa da donna. Dea ex machina. La prende al volo lasciandoseli alle spalle. Ora bisogna scappare dai carnefici, bisogna lasciare il paese. Purtroppo si deve passare attraverso una galleria privata a forma di imbuto, gli ingressi sono contrapposti agli apici. Un traforo di cemento a forma di U. Qualunque sia il tuo ingresso, l’uscita va scalata energicamente a causa della pendenza. L’ingresso è spalancato perché qualcuno è appena entrato precedendo Lele che si lancia in una discesa forsennata per non patire troppo la ripida salita. Ma l’uscita è già sbarrata. Da una feritoia scorge una gang dietro le porte di ferro. Sono grandi, grossi, virili, motorizzati, professionisti della caccia all’uomo. È la serie A dell'antropofagia. Stanno cercando la chiave di ingresso e se lo prendono è la fine. Lele fa spasmodicamente dietro-front nella speranza di potersi nascondere in un anfratto, ma il tunnel è deserto. Non ha angoli, rientranze o colonne dietro cui rannicchiarsi. Stavolta la rincorsa non gli è bastata, deve prendere a braccio la bicicletta per non privarsene in seguito. In cima alla salita, sulla destra c'è uno scorri mano a cui aggrapparsi per non scivolare giù e una presa d’aria larga appena un metro quadrato. Il cellophane impedisce di testarne l’ampiezza, dilaniarlo gli toglierà altri secondi utili alla salvezza. La gang sta sferragliando per aprire il portone e il rumore si fa sempre più forte. Con una piccola manovra Lele riesce a spingere fuori la bicicletta forzandone il telaio. Il portone si spalanca, la gang si prepara all’ingresso.
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