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Fabio: da graphic designer a nomade freelance

Da Twagomagazine @lorenzomonfreg

Fabio: da graphic designer a nomade freelanceFabio, iniziamo parlando di te: cosa hai studiato? Come sei diventato un docente, graphic/web designer freelance?

Tu sei molto giovane ma qualcuno della mia età (35) ricorderà che alla fine degli anni ’90 le mamme dicevano ad amici e parenti: “speriamo che mio figlio trovi da lavorare per quel che ha studiato, s’è impegnato tanto”…in realtà noi giovani e scapestrati grafici dell’epoca avevamo già stentato a prendere un diploma, permeati da quel “mood” d’arte che ci avevano passato i nostri insegnanti…ma era palpabile la voglia di fare e, per alcuni, un discreto talento sul campo.

Per farla breve, io sono uno di quei fortunati che fecero il percorso a tre tappe Istituto Grafico – Corso Integrativo Web (che all’epoca era embrionale) / Press – ed infine impiego in studio.

Dopo 2 anni d’esperienza da dipendente, in due diverse realtà editoriali / web all’epoca rilevanti, ho tentato il “salto” verso la posizione di freelance. Clienti & Istituti (commesse & docenze) han cominciato pian piano ad aumentare, anno dopo anno, lavoro dopo lavoro.

Fabio, Cosa vuol dire essere un graphic designer freelance? Come si struttura la sua giornata tipo?

Qui vorrei sfatare una falsa credenza (perlomeno sulla maggior parte dei freelance): quella che vuole “il free”, in quanto appunto free, che si sveglia a mezzogiorno e lavora in pigiama per qualche oretta, salvo poi vestirsi per andare nuovamente a far baldoria con gli amici! Non che non sia mai vero, ma lo è tanto quanto la giornata “chiesta di ferie dall’ufficio” per un dipendente: è l’eccezione. La norma, la giornata “tipo”? Normalmente inizia presto, prevede una pausa pranzo spesso passata con colleghi o clienti, un pomeriggio intenso di produzione o burocrazie (stilamento preventivi o contratti col cliente) ed una serata che può variare: libera o completamente occupata proporzionalmente all’avvicinarsi di una consegna.

Perchè fare il freelance? è sempre stato un tuo desiderio o una scelta obbligata da fattori esterni?

Anche questa è una domanda molto interessante, che potrebbe coinvolgere chi sta leggendo queste righe, qualora posta su questo piano: “sto realmente facendo quello che mi viene meglio, che desidero, nella mia vita?” Se la risposta è sì, non importa il contesto (freelance o impiegato, a progetto o dipendente etc.), perché la strada è quella giusta, poco importa la forma che ha in questo momento. Se invece, come accadde nel mio caso, all’epoca delle lunghe giornate in studio, è no…potrebbe rivelarsi salutare scegliere una formula o un ambito differenti, rapidamente. A me capitò proprio così, ed un pizzico di fortuna (trovare il primissimo cliente quasi al primo tentativo) fece il resto.

Ci illustri brevemente il day by day di questo lavoro? E quali sono i pro i contro di questa professione, secondo te?

Volentieri. Potrebbe essere utile sapere, in primis, che l’anno di lavoro non segue una curva costante, né simile a quella delle grandi aziende, a meno che non si lavori anche fuori dal proprio territorio nazionale. Mi spiego meglio, riportando la mia esperienza: in media consideriamo da ottobre/novembre a giugno come periodo di creazione lavori (& svolgimento docenze, per chi segue il mio stesso percorso), ed i restanti mesi – da luglio a settembre/ottobre – come preparazione, reperimento clienti, chiusura o correzione di lavori già impostati. Riporto questo per mettere in guardia il freelance alle prime armi, che si organizzi per un estate di “buoni contatti ma poco fatturato” che può rivelarsi mediamente lunga. Questo ovviamente salvo eccezioni, come ad esempio lavori “dell’ultimo minuto”, prima delle ferie, che chiaramente possono anche rivelarsi una costante (sapendo che al 20 di luglio voi siete fra i pochi sempre disponibili…beh…il cliente si rivolgerà spesso e volentieri a voi!).
In breve i pro e contro di questa scelta di vita lavorativa:

A favore l’assenza di noia / routine, l’assenza di malumori “da confronto” (affrontare capi o colleghi frustrati o sgradevoli, senza poter ovviamente “prendere la porta” e andarsene); la maggior cratività, la considerazione presso studi e clienti (voi siete visti come “professionisti”, in questi casi, non come “Mario Rossi il ragazzo dei computer” e assolutamente al primo posto la soddisfazione di ritorno, quando il cliente è davvero contento, soddisfatto.

“A sfavore…sicuramente al primo posto c’è da sempre la scarsa visibilità economica, la difficoltà nel riuscire a prevedere, con un certo margine di sicurezza, le reali entrate nel medio-lingo periodo. Ci sono poi altri fattori più “umanistici” che potremmo annoverare come “contro”, quali l’assenza di colleghi col la quale paerlottare del più o del meno in alcune lunghe giornate di esecutivi. Ma questo è un fattore soggettivo”.

Eri un freelance in Italia, e come tale, quando hai deciso di trasferirti a Berlino, hai deciso di interrompere la tua professione da freelance, puoi spiegarci perchè?

Sì dopo tanti anni ho sentito urgente il bisogno di questa nuova “sfida”, linguistica e culturale, e mi sono spostato qui a Berlino.

Ti riporto in una sola frase la mia scelta, perché ho deciso: dopo aver lavorato molto, moltissimo, con tanti clienti e istituti sulla piazza di Torino ho sentito “chiudersi il cerchio”. Mi spiego: da lì in poi sarebbe stata una riproduzione di dialoghi, accordi, lezioni e commesse già svolti. Non avrei potuto dare il meglio, con queste premesse. Intendiamoci, non è stata una scelta “dall’oggi al domani”: ho scelto Berlino dopo quasi un anno di valutazioni. Sull’interrompere la professione di freelance: sì si è radicalmente trasformata, ora in un limbo, sto cercando di capire se sarò in grado di lavorare su di un mercato linguisticamente e culturalmente diverso, o se dovrò fare più di un passo indietro. Nella prossima intervista ti racconterò com è andata…

Ci sono dunque limiti “territoriali” nell’essere un freelance?

Non ci sono limiti territoriali ma regimi fiscalmente differenti (ma lascio questa materia a chi ne sa di più) e differenti metodi di lavoro. Per chi è abituato, come me ad esempio, ad avere un rapporto “a tu per tu” con i clienti, può rivelarsi una bella sfida incominciare a gestire le cose in una lingua diversa da quella nativa: come sappiamo il freelance è anche “figura commerciale / account, per sé stesso”…e se non riesce ad avvalersi di tutte le sfumature del linguaggio, per la prima impressione e poi per la trattativa…può rivelarsi meno in discesa la riuscita!

Noi italiani poi, fortissimi comunicatori, risentiamo tremendamente del minor sviluppo di dialogo in alcuni ambiti commerciali esteri. Un consiglio per i colleghi, forse ovvio ma mai superfluo, e di  dedicare tempo allo studio delle lingue estere, non accontentarsi di un medio livello ma prepararsi a fondo.

Fabio, i social network e i media come aiutano, se lo fanno, la tua professione? Qual è la strategia migliore per un buon networking per un graphic designer?

 Permettimi di dire una cosa forse contro-tendenza, prometto di recuperare subito dopo (!): nessun contatto acquisito tramite social network potrà mai sostituire la soddisfazione di un cliente che “ti arriva” perché gli han parlato bene di te, perché ha visto colleghi o competitor soddisfatti del tuo lavoro, o perché gli è piaciuto il tuo stile visivo, visto magari per caso in qualche contesto di settore. Detto questo, come appena promesso, il recupero in extremis: non posso negare che il 40 – 50% dei contatti di lavoro per un freelance, oggi, si sviluppa o perlomeno velocizza tramite i social e la rintracciabilità online.

approfondendo il discorso networking, menzionerei qualche esempio pratico fra i più accreditati: Linkedin & Twago. Spesso i potenziali clienti visionano i vostri profili su queste piattaforme, a conferma della corrispondenza fra il vostro portfolio ed il vostro profilo. Consiglio di tener aggiornati questi utili “strumenti” all’ultima mansione / commessa svolta. Io ad esempio ho recentemente aperto il mio profilo professionale anche su Twago, proprio per la sua declinazione internazionale e per l’ottimo sistema di commessa – offerta che propone per gli esperti del settore.

Se dovessi consigliare una buona strategia oggi, direi di lavorare su due fronti. Il primo: curare la propria presenza sulle maggiori piattaforme, rendendo disponibili esempi online che mostrino le nostre capacità, pochi, esaustivi, ma di “qualità”, prendendo magari in considerazione la doppia versione/lingua (italiano & inglese). Sarà poi banale da dire, ma evitate le foto della gara “all you can eat” sul profilo professionale (anche se può risultar simpatica, a volte in favore di qualcosa di più sobrio!

Il secondo, a concludere la nostra chiacchierata: spesso e volentieri i professionisti che occupano posizioni di rilievo nei comparti decisionali delle aziende, e che quindi decideranno se siete voi i freelance a cui affidare la loro immagine aziendale, mirano a farsi un’idea complessiva, cercando riscontro anche tramite colloquio di persona.

Il vostro profilo è ben fatto, completato con il giusto mix di lavori?

La vostra short description parla delle vostre capacità di recepire e interpretare le esigenze?

Dimostratelo anche di persona.

 

Grazie Fabio per avere rilasciato questa intervista e per la collaborazione.

 

Intervista svolta da Roberta Martucci Schiavi.


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