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Facce d’arte : i confini dei volti

Creato il 30 aprile 2014 da Wsf

Qualsiasi essere amato – anzi, in una certa misura qualsiasi essere – è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia. 

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1913/27

I confini segnano il limite di uno spazio. Il limite del confine segna un profilo che è traguardo, uno stare dentro, un” essere”, un’appartenenza, un “sentirsi “, un ” abitato”;  tutte cose che si fondano su cultura , esperienza soggettiva sensibile,  inesauribilità e mistero del senso. In questo senso ogni spazio seppur circoscritto detiene la proprietà di esplorazione potenziale infinita. Volendo dunque seguire questo presupposto, nell’analizzare una piccolissima parte di opere artistiche inerenti il volto , è più che evidente  che di fatto, l’arte moderna sembra voler trascendere più che mai da un concetto propriamente finito di “volto-territorio noto” , come quello rinvenibile nell’estetica classica,  e sancire invece la sua ascesa verso un’area mobile e illimitata ;  uno spazio detenuto in un confine ovvero, che come una membrana elastica  lascia  assorbire  tutti i discorsi possibili su di esso,  rinunciando quindi non solo a regole e certezze, ma anche ad armoniche e rassicuranti rappresentazioni. Albert Camus nei suoi quaderni scrisse : Non posso vedere un quadro moderno senza rallegrarmi per la scomparsa della faccia “, ma a mio avviso nella dimensione della concezione dell’arte che va dai primi del 900′  al nostro secolo,  si evince che la produzione artistica e quel suo assumere una sfumatura prettamente metamorfica, abbia voluto fortemente  l’esplosione  fuori da tutti i confini allo scopo di avventurarsi per territori sconosciuti agendo così dal profondo della forma e del sentire umano per affermare  le sue smisurate capacità di interpretazione della molteplicità di costume e realtà intime e storico-sociali. I volti nell’arte oggi costituiscono così un emblema della trascendenza culturale, antropologica e sociale del nostro tempo, in cui propriamente il viso diventa simbolo della condizione umana, del costume, del ricordo, del sentire, dello stare, del concepire; esso ovvero oggi acquista attraverso  la dimensione artistica la  più ampia e capace disposizione a pensare il mondo in termini di contrasto:  incanto-disincanto , mitizzazzione- demitizzazione, interpretando e rivelando il substrato complesso che al tempo stesso è chiamato, per vocazione ed autenticità, a custodire.

Graham Dean

Graham Dean

Graham Dean adotta una concezione non canonica dei volti , intendendoli  propriamente come un veicolo per trasmettere idee, emozioni e stati psicologici.  Concepisce  infatti le sue opere come  “recinti di sosta” , aree confinate per stati emozionali, in cui i volti stessi diventano testimonianze della condizione umana e del nostro complesso rapporto con il mondo. La nostra individualità, la nostra identità si costituisce nel tempo attraverso la nostra vita interiore che viene costantemente penetrata e alterata dal mondo esterno, e di cui il volto ne è specchio. Utilizzando una tecnica che egli chiama “archeologia inversa”, Dean trasforma e amplia  la tradizionale tecnica ad  acquerello. Contrastanti strati di vernice sono disposti separatamente su carta porosa indiana fatta a mano, ottenendo una densità e brillantezza del colore che sprigiona un effetto viscerale , fondendo il volto nel processo organico con cui la vernice permea e fluisce attraverso la carta. Diverse versioni della stessa composizione sono ritagliate e riassemblate in una forma di collage che permette di conferire ad ogni immagine una crudezza e immediatezza che supporta le qualità emotive e drammatiche delle opere. Graham Dean espone a livello internazionale da oltre 30 anni e il suo lavoro è in numerose collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. Vive e lavora tra Brighton, sul mare in Inghilterra e nelle campagne dell’ Umbria qui in  Italia.

L’uomo non deve potersi guardare in faccia. È la cosa più terribile. La Natura gli ha fatto dono di non poterla vedere, così come di non poter fissare i propri occhi. Soltanto nell’acqua dei fiumi e dei laghi poteva scrutare il suo volto. E la postura che doveva assumere era peraltro simbolica. Doveva piegarsi, abbassarsi, per commettere l’ignominia di vedersi. Chi ha inventato lo specchio ha avvelenato l’anima dell’uomo.

Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, 1982 (postumo)

Guim Tio

Guim Tio

Guim Tio Zarraluki è un giovane artista di Barcellona, Spagna. I suoi volti, per di più realizzati con pastelli ad olio,  costituiscono ritratti astratti mancati.  Tio ama modificare le immagini di riviste di moda,  stravolgendo  i volti di donne bellissime  e raffigurandole con  espressioni inquietanti , alienanti e talvolta anche ebeti. La ricerca di Zarraluki deriva dal suo studio della condizione umana, in cui si aggiunge ‘umorismo, ironia e provocazione. I suoi lavori , che traggono spunto da riviste, tv, radio e mass-media sono stati esposti sia in gallerie spagnole come Sala Pares, Artevistas, Esther Montoriol che in alcune internazionali a Strasburgo, California e Vancouver.

I volti sono ricordi che deridono il passato i volti sono una pozione chimica nella quale circolano le domande i volti sono lingue senza alfabeto | i volti sono lettere che restano chiuse.

Amal al-Juburi

Takahiro Kimura

Takahiro Kimura

Takahiro Kimura abile e versatile artista giapponese , è un illustratore, designer, pittore e video-maker. Dal 1991 Kimura ha sviluppato per i suoi volti uno stile di collage unico  partendo dall’idea di rappresentare la  complessa natura dello spirito attraverso particolari distorsioni fisiche. Queste creazioni accattivanti e audaci hanno un aspetto distintivo e astratto che non rinuncia all’impressione di un movimento ipnotico e  mutante che infonde nello spettatore una sensazione  quasi allucinatoria. Kimura ha inteso i suoi volti come rappresentativi della bruttezza e della sofferenza dell’esistenza, ciò che si nasconde dietro la facciata d’apparenza. Eppure, sebbene da un lato  i soggetti dell’artista possano lasciar trasparire sfumature prettamente cupe e sinistre , le immagini stesse sono volutamente marcate  e fanno uso di colori vivi e luminosi. Fissando lo sguardo di ciascuno dei volti-collage di Kimura se ne ricava un’aurea inquietante e misteriosa, ma allo stesso tempo vibrantemente cromatica.

Nessuno può, per un periodo che non sia brevissimo, “portare” una faccia da mostrare a sé stesso e un’altra da mostrare alla folla, senza alla fine trovarsi nella condizione di non capire più quale possa essere la vera.

Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta, 1850

Tamara Muller

Tamara Muller

Dal suo studio di Haarlem, Tamara Muller crea i suoi volti  ossessionanti e ossessionati traendo ispirazione dal suo stesso viso.   Tuttavia i suoi dipinti su tela e collage non sono tradizionali autoritratti, ma rappresentazioni di quello che lei chiama ” realismo immaginario”. Come nelle fiabe  dei fratelli Grimm, la Muller definisce i suoi volti  come  “enigmi senza soluzione”, in cui le sue immagini distorte tendono a destabilizzare lo spettatore attraverso messaggi  inquietanti e  in un gioco di ambigui equilibri. In una recente intervista ha dichiarato di usare il suo volto perché solo così sente di liberare la sua più autentica vena artistica . ” Il  mio volto è la cosa  che conosco meglio, e so come usarlo. E ‘come agire davvero . Il mio lavoro rappresenta è tutta la mia vita interiore, i miei demoni, il dolore e la paura. Cose che non potevo esprimere in altro modo. Ho cercato di comunicare nella via più diretta che potevo, senza usare parole. ”  I suoi volti tuttavia rappresentano il tema centrale della potenzialità  interiore in   una sorta di gioco tra lo spettatore e i protagonisti dei suoi dipinti. Entrambi sanno che si guardano l’un l’altro e così comunicano.

Vi sono certi individui. sul viso dei quali è impressa una tale ingenua volgarità e una tale bassezza del modo di pensare, nonché una tale limitatezza bestiale dell’intelletto, che ci stupisce come mai simili individui abbiano il coraggio di uscire con un simile viso e non preferiscano portare una maschera.

Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851

Maya Kulenovic

Maya Kulenovic

Maya Kulenovic artista nata in Bosnia , vive e lavora in Canada.  Le sue opere di tradizione  realista traggono ispirazione da artisti del passato come Rembrandt e Goya.  I suoi volti cercano di esplorare l’essenza dell’esistenza, attraverso la rappresentazione di stati psicologici immersi  in verità scomode. Volti che sembrano galleggiare verso e intorno a noi come ombre nella nebbia , riemergere dai meandri  misteriosi della nostra mente, lì dove i ricordi attendono in agguato aspettando il loro tempo per emergere  proprio quando pensiamo di aver dimenticato. Dichiara in una intervista :L’oscurità non è necessariamente ‘minaccia’, né luce ‘salvezza’; si può vedere in questo anche l’esatto contrario. Non sto raccontando allo spettatore come sentirsi davanti ai miei ritratti. Considero lo spettatore abbastanza aperto e intelligente tale che può sentirsi  davanti ai miei ritratti come se fosse davanti ad uno specchio e può dunque attraverso quelli scrutare la propria mente. La speranza può essere presenza resiliente nelle mie immagini, presenza che persiste anche quando sembra essere pura dissolvenza, smembramento di luce e ombra. Può essere momento di riconoscimento e di empatia che lo spettatore può sentire.”

 

La natura ti dà la faccia che hai a vent’anni; è compito tuo meritarti quella che avrai a cinquant’anni.

Coco Chanel

 

Brian Smith

Brian Smith

Brian Smith è un pittore contemporaneo. I volti macabri da lui ideati sono surreali , appartenenti ad atmosfere apocalittiche e fantascientifiche; sono spesso volti di zombie, volti in agonia, o in decomposizione. I colori da lui utilizzati sono prevalentemente freddi , quasi metallici , mentre le tonalità calde sono sempre sfumate su sfondo scuro conferendo al colore ( rosso, giallo, arancio) una tonalità prevalentemente opaca e spenta. I volti vengono intesi in una concezione surreale di biomeccanica vivente.

La più divertente superficie della terra è per noi quella della faccia umana.

Georg Lichtenberg, Aforismi, 1766/99 (postumo 1902/08)

Paul W. Ruiz

Paul W. Ruiz

Ruiz è un artista australiano che ha studiato Arti Visive all’Università di Melbourne. Il lavoro di Ruiz è ispirato principalmente alla sua passione per la  tecnologia  che ha inteso inserire anche nella sua produzione artistica . Ha dichiarato ufficialmente in un intervista che i suoi volti rappresentano la continua ricerca dell’essenza di ogni cosa , essenza che si rivela attraverso una rappresentazione dello stato fisico ed emotivo del soggetto. E’ per questo che osservando le sue opere  e’ evidente il suo spingersi oltre, andare sempre più lontano perchè l’immagine stessa possa restituire quel senso di straniamento a cui l’essere umano è soggetto nel vivere e nel suo spontaneo distacco dalla realtà quando è in contrasto con i suoi desideri.   In tutto questo Ruiz è particolarmente attento al la tessitura delle sue  tele, nella convinzione che lo spettatore non debba poter solo osservare, ma anche avere la sensazione di poter toccare. In una restituzione quasi scultorea del dipinto, Ruiz inserisce  incrinature, creste e linee, attraverso il taglio con coltello delle tele l’inserimento di più strati di tessuti e vernici , ognuno dei quali lavorerà a nascondere o rivelare lo stato fisico ed emotivo del soggetto, enfatizzandone le emozioni e le ombre. Mentre i suoi colori possono sembrare di primo acchito caotici o casuali, non lo sono affatto in realtà. Ruiz di solito  sceglie colori freddi per raffigurare parti del viso in ombra , mentre l’utilizzo di colori leggermente più caldi portare altre zone del viso in evidenza e verso lo spettatore, il tutto a costituire volti dalle sembianze potentemente drammatiche.

In amore, il modo migliore per cancellare una faccia dalla tavoletta della memoria è quello di disegnarvene un’altra di sopra.

Helen Rowland, Reflections of a Bachelor Girl, 1909

Tifenn Python

Tifenn Python

Nato in Francia, Python è subito migrato verso l’isola del Pacifico meridionale di Tahiti sin dalla giovane età. I volti  di Python sono sfuggenti e onirici , quasi fossero generati da sogni che si dissolvono al risveglio lasciando solo un ricordo ossessionante. Python tende a non  parlare mai della sua arte, si limita soltanto a dire che essa costituisce un documentario di persone e situazioni che hanno avuto un impatto sulla sua  vita. Laureato in Belle Arti e  Illustrazione presso l’ Ontario College of Art and Design di Toronto, in Canada, i suoi quadri sono stati esposti a San Paolo, Shanghai, Soho (Opera Gallery) e in altre sedi a New York City. Attualmente svolge prevalentemente lavoro di illustratore per una vasta gamma di clienti tra cui The New York Times, The Washington Post, The Los Angeles Times, Harper, Nylon, The Utne Reader, Playboy e la Elektra Records.

« Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre »

E. Montale


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