di Massimiliano Sardina
Quali facce abbiamo e quali facce ci hanno preceduto? È possibile guardare in faccia l’antenato che abbiamo avuto in comune con le cugine scimmie? I tessuti molli non si sono conservati, ma attraverso i reperti ossei è possibile tentare delle ricostruzioni. Teschi, calotte craniche, arcate sopraccigliari, mandibole, denti… frammenti che la Terra ha custodito per milioni di anni, e che pian piano a suo capriccio lascia emergere, riscrivendo in parte ogni giorno la storia (tutt’altro che lineare) delle nostre origini. La faccia (il volto, il viso, comunque lo si voglia chiamare), è questo l’oggetto della bella mostra organizzata dall’Università degli Studi di Padova, e allestita nelle sale espositive del Centro Ateneo per i Musei, nell’area dell’Orto Botanico. Facce – I mille volti della storia umana, ideata e curata da Nicola Carrara (conservatore del museo di Antropologia dell’università di Padova), ha beneficiato anche della supervisione scientifica di Telmo Pievani (docente del dipartimento di Biologia).
Facce è molto più che una mostra, è uno specchio, un itinerario di volto in volto, tra antropologia, fisiognomica e simbolica. Un viaggio nel volto umano e preumano, un excursus somatico a ritroso per tratti e connotati, tra somiglianze e divergenze. L’identikit dell’antico progenitore – Adamo Y cromosomale o Eva mitocondriale – emerge come per magia dalla morfologia dei teschi (e se talvolta si lavora di fantasia, o per comparazione, lo si fa sempre entro determinati criteri di attendibilità). In Facce s’affacciano ricostruzioni facciali forensi di ultima generazione, frutto delle più avanzate tecniche di riproduzione plastico-digitale. Sui calchi dei più antichi ominini fossili le ricostruzioni facciali vengono ricreate con appositi software forensi, e visualizzate con le tecniche più avveniristiche di realtà aumentata; il risultato è sorprendente, indubitabilmente suggestivo, con un bassissimo margine di errore (che per certi versi è anche irrilevante).
Dai primi ominini (usciti da mamma Africa 1,8 milioni di anni fa), a Neanderthal, fino a Homo Sapiens, senza trascurare le specie rinvenute più recentemente come Australopithecus sediba, Homo floresiensis e Ardipithecus. Al cospetto di questi protouomini non possiamo che riconoscerci. Le fattezze perdute riaffiorano dalla notte dei tempi e, come in un gioco di specchi, scrutano il presente. «Non c’è al mondo superficie più interessante di quella del volto umano.» scrive Georg Christoph Lichtenberg, e come dargli torto. Il volto è mappa e summa d’ogni individualità, territorio di interazione tra il sé interiore e l’altro esteriore (il mondo, le altre facce che lo popolano). Il volto ci connota, ci distingue, reca tradotto in caratteri fisiognomici lo specifico d’ogni animo unico e irripetibile; il volto racconta chi siamo, da dove veniamo, che sesso e che età abbiamo, se siamo in buona salute, se siamo tesi o sereni, il volto tradisce emozioni, veicola espressioni, sentimenti. «Il viso è la sola parte del corpo ad essere esposta tutta nuda al primo venuto.» scrive Gisèle Freund. Tutte le facce divergono e, al contempo, si assomigliano. Siamo tutti parenti e tutti differenti: è questo il messaggio di fondo della mostra. Sulla faccia non c’è traccia di razza, alla faccia di chi ha sostenuto e promulgato le vergognose tesi razziali, oggi definitivamente smentite dalle analisi del DNA. A questo proposito, su un pannello della mostra è riportato un celebre aneddoto: Quando l’Ufficio Immigrazione americano chiese ad Albert Einstein, in fuga dalla Germania nazista, a quale razza appartenesse, il grande scienziato rispose con estrema e spiazzante naturalezza “Razza? Umana”.
Copyright 2015 © Amedit – Tutti i diritti riservati. Severamente vietata la diffusione senza citazione della fonte: “Amedit Magazine – Giugno 2015″.
Ed è l’umanità, riunita in una grande multietnica famiglia allargata, la protagonista indiscussa dell’esposizione, un’umanità messa faccia a faccia con la sua storia evolutiva. Con le tecniche di ricostruzione facciale forense i creatori di Facce hanno ri-visualizzato e reincarnato anche una mummia egizia d’età tolemaica, e personaggi legati nello specifico alla storia padovana, come sant’Antonio, Gianbattista Morgagni e Petrarca (sempre partendo dalla conformazione del cranio). Un’altra interessante sezione della mostra ospita la collezione di volti dell’esploratore antropologo Lidio Cipriani, una nutrita serie di calchi in gesso risalente agli anni Trenta. A eccezione della mummia, tutti i reperti esposti sono repliche (i preziosissimi originali vengono mostrati al pubblico molto raramente), ma questo non inficia in alcun modo il carattere di unicità d’ogni singolo esemplare. Ulteriori approfondimenti lungo il percorso espositivo si allargano a comprendere le teste frenologiche (e le teorie lombrosiane che stabilivano correlazioni tra somatica e inclinazioni delinquenziali) e le maschere.
Emblematicamente questo viaggio tra le facce si chiude tra le maschere, e la giana ambiguità del volto resta come sospesa, confusa tra la folla, estranea e familiare al tempo stesso. Così ci appare questo adorabile scimmione, o protouomo primordiale, un faccione tanto sconosciuto quanto familiare, simile e dissimile, vicino e lontano, animale e umano.
Massimiliano Sardina
_______________________Cover Amedit n° 23 – Giugno 2015 “Il ragazzo dagli occhi di cielo” by Iano
Copyright 2015 © Amedit – Tutti i diritti riservati
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 23 – Giugno 2015.
VAI AGLI ALTRI ARTICOLI: Amedit n. 23 – Giugno 2015
Per richiedere una copia della rivista cartacea è sufficiente scrivere a: [email protected] e versare un piccolo contributo per spese di spedizione.