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Nella
seduta dell’8 luglio, facente seguito a quelle del 23 giugno e del
7 luglio, nelle quali il caso era stato ampiamente analizzato e
discusso sulla base degli atti della Procura di Trani, la Giunta
delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato approvava la
proposta del suo Presidente, Dario Stefano, volta alla concessione
dell’autorizzazione
all’esecuzione
dell’ordinanza
applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari nei
confronti del senatore Antonio Azzollini. Mi scuso per il burocratese, ma è solo per rimarcare il dato bruto che tre settimane dopo, ribaltando il parere della Giunta, il Senato gli
salvava il culo.
Non ha importanza, ora. se fosse giusto o meno che il
senatore se ne stesse in custodia cautelare, ma che il commento di
Matteo Renzi al voto del Senato sia il seguente: «Chi
ha letto le carte ha ritenuto in larga maggioranza di votare contro
l’ipotesi dell’arresto. Lo considero un segno di maturità».
Sarebbe da ritenere, in sostanza, che la Giunta non abbia letto le
carte con la stessa attenzione che ci ha messo chi ha votato contro
l’autorizzazione
a procedere, anche se è dimostrato che c’è
chi l’ha
negata senza neppure averle sfiorate, le carte. E tuttavia chi appena
l’anno
scorso aveva imposto al proprio gruppo a Montecitorio
il voto favorevole all’arresto
di Francantonio Genovese, deputato del Pd, twittando subito dopo: «Il
Pd crede che la legge sia uguale per tutti. E la applica sempre.
Anche quando si tratta dei propri deputati»,
mettendoci per hashtag un fiero #avisoaperto,
stavolta ha ritenuto più opportuno lasciare «libertà
di coscienza»
al gruppo parlamentare di Palazzo Madama.
Ogni considerazione sul
perché Genovese andasse sacrificato e Azzollini risparmiato non può
che essere segnata da sospetti che peraltro sono ampiamente
suffragati da fatti inoppugnabili come l’enorme quantità di favori
concessi da Azzollini ai suoi colleghi nei lunghi anni in cui ha
presieduto la Commissione Bilancio del Senato e il suo essere
esponente di spicco di un partito i cui numeri esigui sono comunque
indispensabili a tener su il Governo. Ma si sa che, in mancanza di
prove, i sospetti restano sospetti, e non hanno dignità di
argomento.
Di notevole resta solo la dichiarazione di Renzi, che al
voto del Senato cerca di dare un significato palesemente diverso da quello che
ha, e con la risibile spiegazione che il fumus
persecutionis, di
cui
al parere della Giunta non v’era traccia nella richiesta avanzata dalla Procura di Trani, è stato rintracciato da
chi neanche ha sfogliato gli atti allegati alla richiesta di custodia
cautelare per Azzollini. Roba che stavolta l’hashtag giusto è
#facciadiculo.
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