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Facciamo un esperimento. Tipo una blog-novel. Vi va?

Creato il 22 maggio 2013 da Sommobuta @sommobuta
Facciamo un esperimento. Tipo una blog-novel. Vi va? Oggi facciamo un esperimento. Tipo una blog novel.
Vi va?
- come sarebbe a dire "No?" -
C’è questa “storia” che mi ronza in testa da un po’.
E allora mi sono detto: “Ciancio alle bande, scriviamola!”
Vista però la mia endemica pigrizia in tal senso, ho pensato che buttarla fuori sul blog in qualità di “blog-novel” potesse essere una buona idea. Mi “costringe” a scriverla e mi consente di cimentarmi in un formato per me totalmente “nuovo”, ma vecchio quanto il cucco (pensate ai feuilletton di Dumasiana memoria) e che funziona alla grande anche con internet.
Sono tantissimi gli esempi di romanzi a puntate celeberrimi.
Mi vengono in mente John Dies at the End, il fantasmagorico Disney Zombie, o il sequel de “I vermi conquistatori” che si trovava sul blog di Brian Keene fino a qualche tempo fa.
Per non parlare dei romanzi a puntate di Doc Manhattan, di Germano M. o di Alessandro Girola. E ovviamente, Due Minuti a Mezzanotte.
Essendo però il blog una piattaforma che punta all’immediatezza, anche i capitoli della blognovel saranno (più o meno) immediati, e avranno una lunghezza media di un articolo medio de “Il Viagra della Mente”, ovvero non più di 800 parole.
Questo consente a voi di dare una lettura veloce senza perdere anni a leggere un capitolo, e a me la possibilità di rimanere costante nella "scrittura" (virgolette d'obbligo).
Si spera.
Ad ogni modo, buon divertimento…
CAPITOLO I
La vedete quella donna che dorme sul letto di fronte alla poltrona dove sono seduto?
Si chiama Francesca. Stiamo insieme da più di quarant’anni.
Quando ci siamo incontrati per la prima volta io avevo ventitré anni, lei poco più di venti.
Com’è che si dice? Colpo di fulmine?
Esatto.
È stato un colpo di fulmine.
Ma se ve lo state chiedendo, no, non è mia moglie e non siamo sposati.
Il perché?
La mia carica non lo consentirebbe, il mio ruolo istituzionale non lo permetterebbe. Quando ricopri incarichi di rilevanza come i miei, quando rivesti una posizione come la mia, il matrimonio è un’ipotesi inimmaginabile.
Anzi, impossibile.
Eppure Francesca è mia da più di quarant’anni.
E se non fosse stato per i suoi consigli in momenti particolarmente difficili, non avrei preso alcune delle più importanti decisioni della mia carriera.
Dirigere, amministrare e coordinare gli affari interni di uno stato non è uno scherzo.
Anche se, devo confessarvelo, mi diverte come se fosse un gioco.
La differenza sostanziale è che, quando giochi, le decisioni che prendi non hanno nessun tipo di impatto, nè sulle persone, nè sulle istituzioni, nè sulla società. E quando giochi, non c’è alcun tipo di pressione.
Che invece, in questo tipo di gioco, c’è.
Sempre.
Quando curi i rapporti con nazioni e diplomazie estere, quando esponenti dei partiti politici vengono a farti visita offrendo qualcosa in cambio di futuri favori, quando le lobby impongono e dispongono perché possono imporre e disporre a loro piacimento, la pressione si sente. È letteralmente palpabile, se vogliamo di nuovo ricorrere a un luogo comune.
Per non parlare di giornate come queste, dominate da un’incertezza apparente.
Quando ci sono le elezioni non si sa mai chi può essere eletto.
Come dite? I sondaggi degli esperti e dei giornalisti?
Niente più che carta straccia.
Vedete, alla fine, quello che conta per davvero, è il nome scritto a matita sulla scheda rettangolare.
Perché niente è più valido di quello stesso nome che viene rivelato dallo scrutatore dopo essere rimasto a riposare nel segreto dell’urna.
Ma il segreto è solo apparente.
Come l’incertezza di questi giorni.
Chi semina, prima o poi, raccoglie.
Ognuno è artefice del proprio destino.
Sono altri luoghi comuni. Lo riconosco.
Ma vi posso assicurare che i luoghi comuni sono comuni perchè veri.
E in verità vi dico che io, in tutti questi anni, ho seminato.
Ho seminato molto.
Ho creato la mia fortuna, ho imposto una rotta ben precisa al mio destino.
E adesso è venuto il momento di raccogliere.
Affondo la mano destra nella tasca del pantalone. Le dita avvertono la plastica fredda del cellulare. Lo afferro, compongo il numero premendo i numeri digitali sullo schermo touch-screen.
Tre squilli.
Qualcuno risponde. Ma chi c'è dall’altro capo del telefono non ha bisogno di dire nulla. Sa già chi è che lo sta chiamando.
«Tre minuti», ordino. Poi premo il tasto rosso e chiudo la conversazione senza nemmeno aspettare la conferma. Mi alzo dalla poltrona, mi avvicino a Francesca e le do un bacio sulla nuca, sui suoi capelli d’argento.
Lei brontola. Si agita. Si volta verso di me. È sveglia. «Te ne vai?»
Annuisco. «Sì.»
«Che ore sono?»
«Le sei. È presto. Dormi.»
«È oggi il giorno dell’elezione?»
«No, è domani.»
Lei sorride. «Allora stasera ci vediamo di nuovo?»
Vorrei dirle di sì. Vorrei stare con lei. Ma queste ultime quarantotto ore saranno un vero e proprio inferno. «Non posso.»
«Quante possibilità hai?»
«Non lo so.»
Francesca sorride di nuovo. «Bugiardo.»
Le sorrido di rimando. Mi chino, la bacio. Poi esco dal suo appartamento, senza voltarmi. Scendo due rampe di scale, passo davanti alla guardiola vuota, apro il portone del palazzo.
Fuori, ad attendermi, c’è un auto. Lo sportello anteriore, lato guidatore, si apre non appena richiudo il portone alle mie spalle. Ne emerge un uomo titanico a cui io, che sono alto un metro e ottanta, arrivo all’altezza dei pettorali.
Mark indossa una camicia bianca, una giacca nera, cravatta e pantaloni dello stesso colore, occhiali da sole, e un auricolare sull’orecchio sinistro. Ha un aspetto marziale, risaltato da una mascella quadrata che sembra di granito e labbra carnose piegate all'ingiù.
Mi apre la portiera posteriore dell’auto senza dire una parola, e la richiude solo quando mi sono sistemato.
Sul sedile, accanto a me, trovo la cartellina che ho lasciato ieri sera. La prendo, la apro, rileggo il promemoria riguardante tutto quello che accadrà tra oggi e domani, giorno del voto. Dopodiché la richiudo, appoggio le spalle allo schienale e mi rilasso un istante.
Mark, intanto, è immobile al posto di guida.
Aspetta che sia io ad ordinargli dove andare. Anche se dovrebbe già saperlo.
Increspo le labbra e sorrido. La sua discrezione e la sua riverenza nei miei confronti sono gli aspetto che più apprezzo della sua persona. Che in passato abbia fatto parte dei Servizi, è secondario. «Palazzo Apostolico, Mark.»
Mark annuisce, gira la chiave nel pannello e mette in moto l’automobile. «Come desidera, sua Eminenza.»
[...continua]
Ah, già.
Quasi dimenticavo.
Il titolo della blog novel.
"Extra Omnes".
Ma se ve lo scrivevo subito, magari mi/vi fottevo il "cliffangher".
Forse.

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