Nel corso dell’evoluzione, l’uomo di è distinto dalle altre specie animali per la capacità di utilizzare il proprio cervello per risolvere i problemi. Oggi quella capacità viene messa in serio pericolo dall’eccesso di informazione.
Il carico di informazioni cui siamo sottoposti è quintuplicato negli ultimi 25 anni. Nel solo tempo libero ciascuno di noi elabora quotidianamente 34 gigabyte di informazioni, vale a dire 100 mila parole, mentre computer, smartphone e tablet di ogni singola persona contengono l’equivalente di mezzo milione di libri.
Il problema è che il nostro cervello è limitato: “La capacità di elaborazione della nostra mente consapevole è pari a 120 bit al secondo” spiega Daniel Levitin, neurologo Usa e docente di psicologia e neuroscienza del comportamento alla McGill University di Montreal. “Per capire ciò che ci dice un’altra persona teniamo occupata una banda pari a 60 bit al secondo. Ciò significa che non possiamo comprendere più di due persone per volta. Ma vuol anche dire che aprire la porta di casa mentre evitiamo di rovesciare i sacchetti della spesa e intanto badiamo a non far uscire il cane o il gatto è sufficiente a occupare tutte le nostre risorse. Se in più squilla il telefono, accadrà che dopo aver risposto non saremo in grado di ricordare dove abbiamo messo le chiavi, perché il nostro cervello ha dovuto lasciar perdere l’informazione, avendola ritenuta in quel momento meno importante”. Come se non bastasse, siamo assediati da nozioni e compiti sempre nuovi.
La soluzione? Sapere come funziona la mente e alleggerirne i compiti.
Una delle chiavi per essere efficienti è mantenere la concentrazione su ciò che stiamo facendo, senza lasciarci distrarre dalle decine di stimoli che ci vengono dal nostro stesso cervello, come ricordare le persone che dobbiamo incontrare nella giornata o organizzare il pranzo o la cena, oppure gli input esterni, come una email o il suono improvviso di un clacson in mezzo alla strada. A gestire per noi questo “filtro attenzionale” è una specie di interruttore collocato in una parte del cervello detta insula, collegata alla corteccia prefrontale. Essa decide se è il caso di interrompere lo stato di massima attenzione verso il compito che stiamo svolgendo per sottoporgli qualcos’altro, e lo fa in base ai cambiamenti che intercetta e all’importanza che attribuisce loro. “Quando guidiamo l’auto” esemplifica Levitin, “il cervello ci segnala se la strada inizia a essere dissestata, perché rileva un cambiamento importante, ma se l’asfalto continua a essere imperfetto per chilometri, smette di richiamare la nostra attenzione su questo particolare, perché non è più una novità. Se invece ci appare davanti agli occhi la pubblicità di un concerto della nostra band preferita, fa in modo che lo leggiamo e registriamo l’informazione, perché sa che quell’informazione ha una certa importanza per noi, mentre continua a ignorare manifesti dei gruppi musicali che non conosciamo”.
Questo meccanismo non è controllabile coscientemente, ma possiamo agire in modo da limitarne l’intervento. Il motivo per cui dobbiamo farlo è che il nostro cervello elabora i compiti uno per volta e quando pensiamo di fare più cose insieme, vantandoci della nostra capacità di multitasking, in realtà lo costringiamo a passare continuamente da un’occupazione all’altra, affaticandolo inutilmente e costringendolo ad attingere alle nostre riserve di glucosio. A fine giornata, così, siamo stanchissimi pur avendo ottenuto risultati inferiori alle nostre possibilità. “Il segreto? Scaricare l’informazione dal cervello al mondo esterno. Basta annotare su un foglio le cose che dobbiamo fare, o preparare un calendario preciso di impegni, per evitare al filtro attenzionale di chiedersi continuamente se ci stiamo davvero occupando della cosa più importante e se non ce ne siano altre in arrivo che richiedono la nostra concentrazione.
Continua…
Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 265 – Novembre 2014