Sempre più di frequente, studiando le varie teorie aziendali, sentiamo parlare di impresa sistema vitale, di passaggio da "impresa transazionale" a "impresa relazionale". Ed invero è ormai un assunto innegabile il fatto che nel contesto attuale tutte le imprese sono più o meno in grado di offrire prodotti omogenei e sostituibili, anche grazie al diffuso ed intramontabile fenomeno della imitazione.
Per questi e altri motivi l'attenzione del consumatore si è spostata dal prodotto in sé al servizio ad esso correlato.
Esempio: acquisto un pc in una grande catena di distribuzione (non faccio nomi per evitare querele :D); lo pago la metà rispetto ad un negozio di pc qualunque. Ma quando si rompe o quando avrò problemi (capiterà prima o poi, non temere) chi me lo aggiusta?
Torno al centro commerciale, lo mandano in assistenza e tanti cari saluti. Interminabile attesa.
Personalmente preferisco spendere un po' di più (giusto un po' eh :D) ma essere sicuro che nel momento in cui avrò un problema posso contare su un servizio di assistenza affidabile e competente, senza eccessive lungaggini.
Quello che fa la differenza allora è la componente intangibile che accompagna il prodotto in sé (sia esso un bene materiale o un servizio).
Possiamo allora considerare l'impresa come un sistema cognitivo, ovvero un complesso di conoscenza atto a produrre nuova conoscenza. Il patrimonio aziendale si compone anche di immobilizzazioni immateriali costituite dal know-how, dalla conoscenza sedimentata frutto delle capacità e competenze di chi ha operato, opera e opererà nell'organizzazione. Ma questo processo è attivabile solo grazie al sapere "condiviso" e nella misura in cui al suo interno si può imparare lavorando (learning by doing).
Di fondamentale importanza è pertanto l'aspetto relazionale, sociale, del "vivere l'impresa".
Ciò che si cerca oggi non è la mera prestazione lavorativa bensì la possibilità di rendere tale prestazione concretamente integrabile nel contesto organizzativo.
Si passa dal "saper fare" al "saper essere" e l'occhio dei reclutatori cade sulla capacità di relazionarsi con gli altri.
E dove se non sui social network si può valutare tutto ciò?!?!
Ecco quindi che facebook, nato dall'esigenza di gestire i propri rapporti interpersonali, di tenersi in contatto con amici e familiari lontani, diviene anche "Social Market".
Mercato in cui pubblicizzare la propria immagine e interagire a stretto contatto con la clientela, fidelizzandola.
Ma anche mercato dal quale attingere risorse, umane.
Sono sempre più, oggi, le imprese che cercano professionisti tramite social network e sempre più diffuso è il fenomeno dell' Head Hunting, letteralmente: cacciatori di teste.
Lasciando da parte numeri e percentuali si può affermare che possiamo anche evitare di affannarci nel redigere un CV decente. Dovremmo piuttosto preoccuparci di costruire la nostra reputazione sul web, di curare i rapporti sociali; preoccupiamoci di costruirci un buon profilo. Oggi è questo il nostro CV, il nostro biglietto da visita (fonte: www.veronicagentili.com).
Perchè social is better!
Siete d'accordo?