Frédéric Filloux ha spiegato molto bene le nuove logiche di distribuzione delle notizie alla luce dell’avvento di Instant Article di Facebook e di Apple News e quali le implicazioni. Argomento sul quale riflette anche Margaret Sullivan, Public Editor del NYTimes, analizzando il delicato bilancio della presenza del proprio quotidiano, del giornale in cui lavora, in questo nuovo contesto.
Come segnalava da questi spazi Donata Columbro, non più tardi di venerdì scorso, continua il dibattito sulla trasformazione di Facebook in editore o — in superamico degli editori. I giornali dovrebbero stare in guardia, scrive Michael Wolff, mettendo a confronto i profitti che Netflix, sito di film e serie tv in streaming a pagamento, garantisce alle case di produzione [3 miliardi all’anno], rispetto a quelli promessi da Zuckerberg [zero]. E Jeff Jarvis aggiunge materiale interessante al dibattito: “piattaforme come Facebook e Google dipendono da un ecosistema di contenuti e non vogliono farne parte, perché li metterebbe in conflitto con lo stesso sistema”.
Anche Mathew Ingram pensa che darsi in pasto a Facebook sia un affare pericoloso, e il CEO di Dow Jones ha recentemente ammonito gli editori di non ficcarsi nell’affare come “delle galline senza testa” in una partnership che non possono controllare.
Dall’analisi swot effettuata circa un paio di mesi fa sulla questione [vd matrice sottostante], sostanzialmente non mi pare che sussistano i presupposti per aderire alla proposta di Facebook, ad Instant Articles. Come consulente sconsiglierei caldamente di farlo.
Vi sono aspetti legati alle condizioni d’uso di Facebook che lasciano più che perplessi rispetto al controllo che le testate hanno ed avrebbero sulla pubblicazione dei loro contenuti, ed infatti emerge ora che a partire dall’inizio di novembre di quest’anno Facebook introdurrà delle variazioni significative nella gestione dei dati dei propri iscritti che accedono da mobile con il rischio che le informazioni, la profilazione dei lettori di un editore vengano venduti ad una testata concorrente e, soprattutto, aggravando ulteriormente la posizione, già di dominio, del social network più popolato del pianeta.
Facebook è un bar, una piazza di paese dove incontrare persone, comprenderne interessi, motivazioni, aspirazioni e, soprattutto, appunto, dati, da interpretare correttamente per tradurli e renderli disponibili a casa propria, nel proprio sito, nei prodotti e nei servizi forniti, non è una piattaforma di distribuzione o, peggio, come si ritiene nella maggior parte dei casi ora, uno spazio dal quale esclusivamente dragare traffico al sito. Svendersi per 30 denari sarebbe davvero l’ennesima follia.