Dopo aver letto L’ultima riga delle favole, ero ansiosa di avere tra le mani il nuovo romanzo di Massimo Gramellini. In realtà l’ho comprato molto tempo dopo l’uscita, quando già era diventato un best sellers. Mi aspettavo che fosse simile al precedente libro, ma dopo poche righe mi sono accorta che non era una favola.
Pagina dopo pagina sono cresciuta con il protagonista, commovendomi davanti al dolore e alla frustrazione di un bambino di nove anni che aspetta a lungo il ritorno della madre strappata dalla vita da Brutto Male.
Ho accompagnato il protagonista nel percorso di crescita fino all’età universitaria, agli esami e alla ricerca di sé che mi sono familiari. E mentre la narrazione, semplice e libera da inutili formalismi, prosegue, la voce narrante si sovrappone sempre più a quella dello scrittore rivelandone la natura autobiografica. A questo punto i sentimentalismi potrebbero diventare fin troppo facili, ma la delicatezza delle parole di Gramellini hanno nuovamente toccato il mio cuore e lasciato un piccolo segno che è anche un’ispirazione di vita.
Ammetto che nel parlare di questo romanzo, mi sento un po’ in soggezione: per molti il giornalista torinese è un’istituzione e io sono tra questi. Sono convinta che non sia un libro per tutti; io stessa sono stata spiazzata nel leggere le prime pagine de L’ultima riga delle favole, quasi delusa. Poi mi sono ricreduta. Completamente.
Un romanzo autobiografico, quindi, che è anche il romanzo della verità o, meglio, della riscoperta. Il silenzio, l’omissione aveva avvolto Massimo in un tiepido guscio che invece di proteggerlo, gli impediva di avere contatti reali con la propria vita, lo allontanava da se stesso ferendolo e impedendo alle cicatrici di rimarginarsi. A quel guscio, Massimo ha anche dato un nome: Belfagor.
Belfagor si nutre di ogni incertezza dell’uomo ed è il compagno fedele di ogni evento della sua vita. Non lo abbandona nemmeno davanti all’amore della moglie Elisa, ma sono le sue cure, le sue parole a cacciarlo. La mamma, amata e fonte di dolorosi contrasti esistenziali, viene a poco a poco riabilitata, perdonata e lasciata libera. Credevo di aver pianto a sufficienza all’inizio, ma l’ultimo capitolo si è rivelato più toccante.
Ognuno può riconoscersi in una delle pagine: nel Gramellini tifoso, in quello innamorato, nell’universitario, nel giovane giornalista, nell’adulto che impara a vivere…
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