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Ho finito di leggere questo libro ieri sera verso mezzanotte e devo ammettere che mi ha tolto il sonno (ok, forse anche tutte le patatine alla paprika che ho mangiato nel pomeriggio hanno contribuito). Mi sono girata e rigirata nel letto, pensando, tra le altre cose, a cosa avrei scritto in questa recensione. Perché quello che ha scritto Gramellini mi tocca parecchio da vicino.
Sono passati poco più di 7 anni da quando mio papà non c'è più. Sembra ieri. Certo, io rispetto a Gramellini l'ho perso che ero già grande, era già riuscito a trasmettermi un sacco di cose e di insegnamenti che sicuramente hanno influenzato il mio modo di essere di oggi. Ma certe volte comunque la sua mancanza si fa sentire più forte che mai, sebbene io ne parli il meno possibile.
Gramellini in questo romanzo autobiografico ci racconta come ha vissuto la sua vita nel ricordo e nella rabbia per la madre morta quando aveva 9 anni. Ci racconta di come questa assenza abbia influenzato la sua vita di bambino, quando capire e accettare è impossibile e si arriva a sperare che la mamma prima o poi torni, che come è sparita all'improvviso altrettanto all'improvviso ritornerà. Ci racconta di come è stato difficile crescere e diventare adulto, logorato da questa grande assenza e dal rapporto conflittuale con il padre che non ha saputo come comportarsi per far fronte sia al suo dolore sia a quello del figlio. Ci racconta di quando diventato adulto è stato incapace di imparare ad amare, perché quell'abbandono da piccolo lo ha segnato, perché nessuno gli ha spiegato davvero come si fa, fino a che non ha trovato anche lui la persona giusta. E poi ci racconta di quando ha scoperto la verità su quello che è realmente successo la notte in cui la madre è morta.
A far da sfondo a questo, c'è Torino e il nascere della sua carriera di giornalista, c'è la sua Posta del Cuore che esce su La Stampa tutte le domeniche (tendo a non leggerla, preferisco i "Buongiorno") e la stesura del suo primo romanzo, "L'ultima riga delle favole" (che io non ho per niente apprezzato) ma che per lui è stato il punto di partenza per scoprire la verità.
E' impossibile dire se si tratta di un libro bello o di un libro brutto. Perché non si può giudicare la vita delle persone, nè tantomeno accusarle di piangersi addosso di fronte al mondo. Ognuno reagisce a modo suo, ognuno ha nel suo armadio fantasmi e scheletri che deve in qualche modo esorcizzare. Gramellini lo fa scrivendo, con il suo stile che io tanto adoro, ironico e irriverente anche quando descrive le cose più tristi, senza mai cadere nel banale. D'altronde è la sua vita, e nessuno meglio di lui può scrivere come si è sentito o cosa abbia provato. E credo che lo abbia scritto innanzitutto per se stesso, per affrontare definitivamente un argomento che tanto ha condizionato la sua vita e per scoprire se era finalmente riuscito a "guarire". E ha poi voluto condividere questo suo percorso con i suoi lettori, qualcuno avrà apprezzato, qualcun altro avrà pensato che al suo posto non avrebbe (o non ha) reagito così, qualcun altro ancora lo ha odiato. E riesco a capire perfettamente tutte e tre le posizioni.
A me qualcosa ha lasciato (oltre alle ore di sonno perse stanotte intendo), ed è sicuramente molto ma molto meglio della sua prima opera pseudozen, che tanto avevo odiato. Lo consiglierei!
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