di Benedetta Fazio
Fai bei sogni, l’ ultimo romanzo di Massimo Gramellini uscito a fine marzo, si è rivelato un caso editoriale che ha sbalordito molti.
Il secondo romanzo del giornalista e vice direttore de La Stampa ha infatti raggiunto in brevissimo tempo risultati notevoli.
Primo in classifica di vendite per diverse settimane dopo la sua pubblicazione e con più di 500 mila copie vendute in poco più di due mesi, non è di certo passato inosservato agli occhi dei lettori italiani.
Nonostante la diffidenza che spesso accompagna la lettura dei campioni di vendite, con lo scorrere delle pagine è inevitabile comprendere come il successo di questo libro sia il meritato approdo di un faticoso viaggio, non solo di scrittura, ma anche di crescita interiore, compiuto dall’ autore.
È la narrazione di un dolore questo libro, di una cellula cancerogena nascosta da qualche parte nell’ organismo del protagonista che con il tempo ha inesorabilmente e silenziosamente contagiato tutto ciò che la circondava, creando una fitta rete di tessuti marci e sofferenti. Ma è anche, e soprattutto, la storia di una lotta contro il male, di un tardivo, lento e complesso tentativo di opposizione alla sofferenza.
Alla base di tutto questo dolore vi è una perdita prematura mai accettata e assimilata, ma che diventa alibi di qualsiasi infelicità. Perché chi soffre spesso si barrica dietro a quelle altissime mura della diversità, da dietro le quali osserva la vita scorrere per gli altri come fossero entità dalla natura differente che nulla ha a che vedere con la propria. Il sofferente si gloria dell’ esclusività della propria condizione non potendo accettare che al mondo vi siano persone che, con il cuore a pezzi, possano anche comprenderlo e aiutarlo. Il dolore diviene un’ ossessione invisibile e silenziosa, il dio all’ altare del quale si sacrificano scelte, emozioni e possibilità.
Il distacco da quello che negli anni è diventato il compagno di viaggio per eccellenza, la direzione ultima di qualsiasi percorso diventa allora un’ impresa nella quale impiegare tutte le forze a disposizione: la strada da percorrere impone di ricominciare e per poterlo fare è necessario costruirsi una tregua con il passato e perdonare senza remore ciò che ormai è stato. L’ obiettivo ultimo è quello di scrollarsi di dosso il terrore di esistere e cominciare, anche se alla soglia dei 45 anni, a vivere per la prima volta.
“ Preferiamo ignorarla la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere: completamente vivi.”
La battaglia del protagonista è di sicuro impari, sconfiggere il nemico vuol dire combattere con tutta quella parte di sé imperniata da un senso di abbandono e di solitudine ormai cicatrizzatisi a fondo. Ma il valore della vittoria è alto, quello di una vita finalmente autentica.
Gramellini riesce a condurre il lettore dentro questo tragitto di liberazione con grande maestria e leggerezza. La narrazione scorre rapida e trasuda da ogni suo punto lo sguardo affettuoso che l’ autore rivolge al suo personaggio e a se stesso, comprensivo e imparziale allo stesso tempo.
Inevitabile percepire quel residuo di sofferenza radicato dietro alla scelta di trattare un argomento così intimo e delicato, ma anche la voglia di lasciare il passato al suo posto per aggredire liberi il futuro. Un’ ironia delicata e pungente accompagna ogni pagina del libro e rende l’ esposizione, in particolar modo la prima parte raccontata da un punto di vista infantile e adolescenziale, di una piacevolezza e sensibilità rara.
Rimane un augurio alla fine: fate bei sogni, d’ amore autentico.