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Falsi ottimismi e illusioni: cosa viene insegnato ai giovani
Creato il 17 gennaio 2013 da Saradurantini @SaraDurantini"Nei corsi di scrittura, il punto su cui tornavo più spesso era la precisione. La letteratura quale linguaggio definitivo per circoscrivere una materia mobile e multicolore come il “sentire” (…). Per contagio ho finito per amare la precisione non specificamente letteraria...". E' l'inizio dell'articolo di Beppe Severgnini su La Lettura, nel quale il giornalista, traendo spunto dalla citazione di Giuseppe Pontiggia, indirizza i giovani sulla formula per realizzare i propri sogni: "La precisione diventerà lo spartiacque tra chi prova e chi tenta; tra chi costruisce e chi accumula. In ultima analisi, tra chi riesce e chi fallisce". A tal proposito viene citata anche la terza delle Lezioni americane di Italo Calvino basata proprio sulla "Esattezza": "Parte da Giacomo Leopardi, e ricorda che, quando definisce il concetto di «vago», il poeta dell’Infinito era preciso". Severgnini accenna quindi al mercato del lavoro "che offre sempre meno e chiede sempre di più". Delineato il quadro si intravede la tesi dell'articolo: la precisione vince sul pressapochismo, avere un'idea precisa, sapere quel che si vuole dalla vita e chiederlo, in maniera precisa e sintetica, è l'unico modo che non farà scivolare nella sciatteria culturale.
Ebbene il quadro descritto da Severgnini dovrebbe essere contestualizzato. L'Italia che conosciamo, che tutti i giovani conoscono e vivono ogni giorno è "il laboratorio barocco della dittatura mondiale dell'ignoranza, avanguardia nell'azzeramento della civiltà sociale che abbiamo ereditato dalla storia passata della borghesia protestante e del movimento operaio" (Incubi e schermi. La cornice perfetta di Franco Berardi Bifo in Alfabeta2, numero 25). Potrebbe apparire estremamente questa definizione del nostro Paese ma ad essere anacronistiche, in questo caso, sono proprio le parole che Severgnini riporta nel suo articolo. Elogio della precisione è condivisibile e ammirabile se l'Italia fosse un Paese in cui veramente viene premiata la precisione, in cui la voce dei giovani viene ascoltata. Al contrario, la tragicommedia del quotidiano ci ha insegnato che l'arte di arrangiarsi merita i più scaltri, che gli istitutori della cultura soffrono di egocentrismo e incuria tali da offuscare i loro compiti. Se la precisione fosse sufficiente alla realizzazione dei propri sogni l'Italia sarebbe "una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". E questo non solo sulla carta.
Di anacronismo di nutre anche l'articolo di Fubini su La Lettura. "I giovani, oggi, non obbligano gli altri ad ascoltarli" e poi ancora "I giovani italiani sembrano prigionieri di un dilemma hirschmaniano che non sanno risolvere. Di fronte al sistema non scelgono né la lealtà, né la protesta, né la defezione, non almeno con una massa critica tale da ribaltare gli equilibri". Fubini riporta anche esempi di giovani che, al contrario, non temono l'altro e fanno sentire la loro voce: "Quando gli Indignados hanno tenuto le piazze spagnole per mesi con dignità e autodisciplina, i loro coetanei italiani sono rimasti a casa. Quando i ragazzi americani o inglesi hanno piantato le tende a Zuccotti Park o davanti a Saint Paul’s Cathedral, gridando «Occupy Wall Street» o la City, in Italia c’è stata giusto qualche improvvisata a piazza Affari o alla sede di Standard & Poor’s. Scene carnevalesche più che le prove di tenacia e creatività viste a Londra e New York. Le rare volte che i ragazzi italiani hanno manifestato senza disordini, i loro slogan erano importati dall’estero o, peggio, dai padri sessantottini e ultrasessantenni che li hanno collettivamente privati del futuro. Come fossero colpiti da una sindrome di Stoccolma nella quale la vittima, sotto sotto, ammira il sequestratore. O come se i loro padri nel 1968 avessero ripetuto le parole d’ordine dei primi anni Venti."
Imbracciare le armi, assumere un atteggiamento oltremodo aggressivo, questo è quello che noi giovani dovremo fare? La dialettica, la forza argomentativa, il confronto, non sono invece questi i mezzi per mettersi in discussione? E a proposito di discussione perché allora sottrarsi alle domande che proprio i giovani rivolgono ai giornalisti, come a Fubini stesso, su Twitter in merito a ciò che scrivono? Gli elogi non fanno crescere e non aggiungono nulla se non aumentare il proprio narcisismo. Come ha scritto @niccotnt non siamo noi giovani ad essere muti, siete voi giornalisti ad essere sordi.
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