Stavo guardando in tv uno di quei programmi sponsorizzati dalla LonelyPlanet, quei documentari-reportage, dove il protagonista, di solito un bel ragazzotto dall’aria simpatica, esplora posti esotici del mondo per stimolare la nostra voglia di avventura e esplorazione. E’ una produzione per nulla amatoriale, ma lo sforzo è proprio di darne l’illusione. Apparire la più semplice possibile. Dare l’impressione di telecamera a mano, di improvvisazione, di realtà, di verità. Emblematica la scelta di doppiare fuori sincrono il protagonista lasciando in sottofondo la sua vera voce. Togliere in tutti i modi l’artificiosità del troppo scritto, costruito, la professionalità addirittura. Le emozioni devono sembrare provenire dal basso, scaturire spontaneamente, non ricreate ma incontrate durante il percorso. Esistono documentari-reportage (la cui veridicità è a volte dubbia) che calcano ancora di più la mano in questo senso e che hanno ancora maggiore successo. Ma non solo: la stragrande maggioranza dei telefilm per ragazzi sono realizzati in questo modo: doppiaggi approssimativi, tagli grezzi, luci naturali, attori assenti, ma piuttosto gente comune ripresa nella propria vita di tutti i giorni. E’ chiaro che in realtà dietro questa amatorialità c’è studio e ricerca, ma i professionisti danno al pubblico quello che il pubblico vuole. Realtà. Il pubblico ha fame di realtà. Tutto è iniziato con i reality, dove i colpi di scena sono decisi dagli autori ma la gente crede succedano realmente e anche di fronte all’evidenza continuano a rifiutarsi di credere che siano preparati, perché la gente non vuole finzione, vuole vedere rappresentata la realtà. Mi fa sorridere questo processo devolutivo dell’arte. La musica sta attraversando lo stessa rivoluzione. La tecnologia sembrava avrebbe portato la qualità dell’ audio a livelli inimmaginabili. C’è gente con stereo nelle proprie auto costati anni di sacrifici e ora abbandonati per gracchianti mp3 ascoltati dagli auricolari, film che sembrano i filmini di compleanno della famiglia Rossi che vincono premi di cinema internazionali. Più la tecnologia compie passi da gigante, più la gente si abitua a consumare l’arte in modo semplice, veloce e di “qualità” inferiore. E nella letteratura cosa succederà? Il processo è in atto anche in questa forma d’ arte. E’ solo leggermente in ritardo… ma le forme convenzionali di romanzo sono in crisi. Quattrocento pagine di trame lavorate a tavolino, meccanismi ad orologeria perfettamente oliate sembrano non suscitare più l’attrazione di un tempo. Non c’è più spazio per Wilbur Smith, i thiriller hanno il fiato corto, vince Saviano, vince l’autobiografia, il memoir o almeno l’illusione di trovarci di fronte a brandelli di realtà.
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