Alle porte di Lusaka, la capitale dello Zambia, negli anni Ottanta ho visto donne e bambini seduti lungo il ciglio strada a rompere le pietre che dovevano essere usate per il macadam.
La polvere turbinava e la calura era intensissima. La persona che mi accompagnava disse che quelle donne erano così stanche da riuscire a pensare solo al fatto che quel battere continuo sulle pietre avrebbe dato da mangiare a loro e ai figli.
Oltre a questo, nella loro mente non c’era nulla. Erano purtroppo esauste per concepire qualcosa di diverso dalla mera sopravvivenza.
Le persone che vivono ai margini più esterni della società non hanno scelta.
Stendersi in mezzo alla strada e lasciarsi morire non è una scelta. E neanche morire di fame.
Oggi abbiamo tutte le risorse necessarie per estirpare la povertà assoluta e portare tutti gli esseri umani in vita al di sopra del livello della fame, ma scegliamo di non farlo. E’ una scelta che non posso non considerare criminale. Solo che non esiste un tribunale internazionale che chiami a rispondere i responsabili del fatto che la fame e la miseria non vengano combattute con tutti i mezzi a disposizione e che costringa tutti noi a considerarci coinvolti.(pag.115-116)

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)