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Fame nervosa: quella confusione tra bisogni fisici ed emotivi.

Da Silvestro

A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma.

A tutti è capitato in momenti particolarmente difficili della propria vita di mangiare di più o di sentire lo stomaco chiuso. Questo perchè lo stomaco è il centro delle nostre emozioni e quando qualcosa ci colpisce in modo più o meno diretto è proprio li che avviene il caos ( e spesso la gastrite è li a ricordarcelo).

In particolare, quando siamo più in ansia, mangiamo di più: parliamo in questi casi di “fame ansiosa”, cioè una spinta a mangiare che non è connessa ad uno stato di bisogno fisiologico (avete consumato il vostro normale pasto e lo stomaco non brontola), ma che si sviluppa in risposta ad un’emozione come tristezza, paura, noia, rabbia.

C’è quindi una chiara distinzione tra la fame fisiologica, ovvero un bisogno concreto del corpo, che quando soddisfatto termina la sua funzione comunicando una sensazione di sazietà ( regolato nei centri della fame e della sazietà con sede nell’ipotalamo laterale), e la “fame emotiva”  che invece è più difficile da soddisfare, poichè sostenuta dalla fonte di natura emotiva che l’ha evocata. Quando la fame nervosa diviene predominante, la persona attua molto frequentemente “abbuffate” in conseguenza alle quali sperimenta un forte senso di colpa: in tal caso si parla di un disturbo da alimentazione incontrollata, tecnicamente detto “binge eating”.

Ma da dove deriva la fame emotiva-nervosa?

Secondo H. Bruch, nota psichiatra che da sempre si occupa di disordini alimentari, le problematiche della madre relative ad una giusta comprensione dei desideri e dei bisogni del bambino, determinano in quest’ultimo un’incapacità nel distinguere i bisogni fisici da quelli emotivi, minando così il suo senso di identità, di autonomia e di controllo.

Se per esempio la madre risponde alla rabbia o alla paura del figlio preparandogli da mangiare e non cogliendo quindi in maniera responsiva il reale stato emotivo del bambino, quest’ultimo sarà portato a confondere rabbia o paura con lo stato di fame. Il bambino emotivamente deprivato e confuso, sarà quindi l’adulto di domani senza un vocabolario emotivo che gli permetta di conoscere, decodificare e ancor meno esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni.

Dal momento che “controllare” le proprie emozioni risulta fonte di ansia, frustrazione e sofferenza, il bambino prima e l’adolescente poi, si ribella alle risposte del genitore percepite come incongrue rispetto ad un vissuto proprio anche se incerto e converte pertanto tale bisogno di controllo su un terreno che sente più semplice da gestire: il cibo. Questo può tradursi sia in un controllo massiccio dell’assunzione di cibo ( nel caso dell’anoressia nervosa), sia nella perdita di controllo ( come nella bulimia nervosa e nel binge eating). Così, nell’età adulta diversi stati d’animo come l’ansia, la tensione, la collera verranno interpretati nel modo sbagliato con conseguente assunzione eccessiva di cibo.

Dopo l’episodio di binge eating aumentano i sentimenti e le sensazioni positive e si alleviano le emozioni negative: lo sfogo sul cibo in qualche modo crea sollievo e gli stati negativi intollerabili, come per esempio la colpa, si spostano verso altri più tollerabili come per esempio il senso di colpa. Tuttavia in un secondo momento il tentativo di sfuggire a processi di autoconsapevolezza attraverso il cibo, diminuisce ulteriormente il senso di autoefficacia ed autostima: quest’ultima, assieme agli standard elevati ed agli aspetti perfezionistici mette in atto un circolo vizioso in cui le emozioni negative ed il loro controllo fanno da ago della bilancia.

A cosa serve il cibo?

Anzitutto molto spesso dietro alla fame nervosa si nasconde una componente emotiva, quindi il cibo diventa un modo per soddisfare rapidamente i propri bisogni, per godersi un momento di pausa, un premio, una coccola: gli alimenti dolci aumentano il livello di endorfine, responsabili del buonumore e sono un piccolo piacere che, a volte, cura i problemi emotivi.

Tuttavia, a volte, oltre che a gratificare, il cibo serve a silenziare particolari stati emotivi legati a qualcosa che vorremmo ma non riusciamo a dire, a qualcosa che va cambiato ma non ne abbiamo spesso la volontà e il coraggio. C’ è una chiara infelicità di fondo e non sappiamo bene come gestirla e, invece di farlo, ci rifugiamo spesso nel cibo, per non pensare e non capire, ricorrendo ad una gestione facile e veloce dell’emozione

Come si può controllare la fame emotiva?

1)Perchè ho fame?
In primis va compresa l’origine delle emozioni, siano esse ansia, paura, rabbia. È a causa del lavoro? Di un problema di coppia? C’è qualcosa che va cambiato nella vostra vita?

Se non siete fisicamente affamati (il vostro stomaco non brontola e avete da poco assunto un normale pasto), potreste sentirvi affamati di un abbraccio, di una relazione, di una gratifica o di uno spazio vostro in cui esprimervi. Ponete attenzione a ciò che vi sta dicendo questa fame “falsa”, potreste scoprire che è qualcosa che esula dal frigo o dalla dispensa.

2)Ho davvero fame?
Avete davvero fame? Fatevi sempre questa domanda ogni volta che vi ritrovate a mangiare qualcosa, magari quello che il vostro corpo vi sta chiedendo non è cibo. La vostra fame non è sempre reale e soprattutto è probabile che il senso di fame e sazietà risulti non più tarato sui pasti principali, aumentando la confusione tra fame reale e fame nervosa

3)Il cibo può farmi stare bene?
Se sulle prime vi sentirete più sollevate, in realtà, finito di assaporare quanto mangiato, vi ritroverete al punto di partenza, con in più delusione, amarezza, frustrazione e senso di colpa. Il cibo non può confortarvi nè farvi sentire meno soli o più amati:  accettate anzitutto come vi sentite, provare queste emozioni è fisiologico ed utile, poichè ci stanno segnalando che una situazione va cambiata. Se avete paura e desiderate rassicurazioni, accettate innanzitutto il modo in cui vi sentite. Avere paura è utile e fisiologico.Se vi sentite soli, ricordatevi che state avendo la preziosa occasione di essere in compagnia di voi stessi, scoprendo i vostri bisogni ed il vostro mondo emotivo.

4) Come posso gestire sul momento la fame nervosa?

Posticipate l’emissione della risposta, ovvero, nel momento in cui lo stimolo della fame “falsa” vi attanaglia, rispondetevi che si, mangerete ma ad un orario ben preciso, per esempio tra due ore. Nel frattempo accettate come vi sentite e continuate a svolgere quanto state facendo, vi accorgerete che dopo poco la fame sparirà, proprio perchè non fisiologica ma emotiva.

Fallimenti, eventi frustranti o conflitti generano emozioni spesso intollerabili per chi ha difficoltà ad elaborare ed esprimere emozioni, fungendo da fattore scatenante per comportamenti contro-regolatori che tuttavia trovano terreno fertile in un Sè fragile, tendente al perfezionismo e alla rigidità, orientato al successo e alla negazione dei propri bisogni. Un’attaccamento insicuro e un invischiamento familiare fanno inoltre da cornice alla difficoltà di regolazione delle emozioni, per cui la persona non riesce a strutturare un proprio concetto di Sè ed una propria identità separata, con emozioni e bisogni propri. Il confine Sè-Altro appare quindi molto labile e non a caso spesso le paure abbandoniche celate dietro il cibo, sfociano in relazioni dipendenti e invischiate.

Ne consegue che, ascoltare la propria fame emotiva, diventa un importante esercizio per comprendere meglio se stessi, le relazioni attuali e cosa ci portiamo dal passato come zavorra: conoscere ed ascoltare quindi le emozioni, esprimere i bisogni e costruire così un’identità separata, più stabile e strutturata.

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