
Fatta questa premessa, capisco ancora meno un family day organizzato in modo così intempestivo e fastidioso, come per arginare una marea montante, che poi consiste nel riconoscimento di un dato di fatto: ci sono persone che si amano o per lo meno si desiderano al di fuori degli schemi consolidati. E, quando, alle richieste di diritti, se va bene si risponde che esistono soluzioni di tipo privatistico, io do di matto: queste procedure alle quali ci si riferisce sono costose, ambigue e dipendono molto dalla discrezionalità dell'interlocutore al quale ci si rivolge.
Serve, e serve proprio, un riconoscimento istituzionale di un dato di fatto. Che si chiamino unioni civili o PACS o come si preferisce, purché si trovi una formula che identifichi la novità giuridica e sociale, a me poco importa. Si tratta di farlo senza intaccare in nessun modo l'istituto matrimoniale con il suo significato storico, significato che (pur senza escluderlo) ha poco o nulla a che fare con il sentimento spontaneo e a suo modo ingenuo che siamo soliti definire amore. Il matrimonio non è - storicamente - né la sede privilegiata, né la tomba dell'amore, come recita un troppo diffuso detto; l'identificazione biunivoca tra matrimonio e amore è recente, romanzesca e discutibilissima. Se non altro per il fatto che tende a uniformare in modo indebito l'uso del (o, se si preferisce, il rapporto col) proprio corpo, pulsioni, sentimenti e organizzazione sociale. (E, nei casi più gravi, mira ad adulterare quel fondo inesauribile dell'uomo attraverso notizie su presunte - e molto discusse oltre che eticamente inaccettabili - "guarigioni".)

Le unioni di fatto - che si fondano su una predilezione specifica e reciproca - vanno a mio avviso riconosciute, e riconosciute a pieno titolo. Si tratta, appunto, di riconoscere un fatto, che non vuol dire condividere il tipo di scelta, ma neanche escludere a priori una certa organizzazione della propria esistenza. Finché esisterà un family day organizzato in opposizione al gay pride, starò sempre e comunque dalla parte del gay pride, perché è vero che la famiglia "tradizionale" è fertile e aperta alla procreazione, ma è di nuove esistenze che si parla, non della moltiplicazione della forma-famiglia. E non mi sento, in coscienza di rinunciare - o di chiedere ad altri di rinunciare - al principio della libertà di costruire in modo positivo e attivo la vita al di fuori dei modelli riconosciuti.