Fane come u prete dice, nù comu u prete face
31 maggio 2013 di Dino Licci
Botero: Il riposo del prete
La storia è fatta veramente di corsi e ricorsi come diceva Vico. Ci sono periodi storici in cui prevale il raziocinio, altri in cui prevalgono la spiritualità o addirittura il misticismo. Dopo il lungo periodo medioevale, l’illuminismo dette la stura a tante speranze dell’uomo compresse dall’oscurantismo clericale, dall’inquisizione, dai roghi, dalle persecuzioni e cominciarono ad emergere la Scienza, la Cultura e la tecnologia ma già il romanticismo era alle porte e l’uomo, stanco di obbedire alla fredda ragione, si tuffò nelle braccia del sentimento, nello “Sturm und Drang”, (tempesta ed impeto) con l’esplosione delle passioni e del soggettivismo. Si esaltarono la moralità, l’amor di patria, la lealtà, l’amicizia mentre la malinconia ed il dolore divennero compagni inseparabili dell’uomo. Si esaltarono la morte, l’angoscia e il terrore mentre i sepolcri e i cimiteri ispiravano i poeti di questa età romantica. Il positivismo, col primato della biologia e col ritorno della scienza, iniettò nuovo ottimismo, nuovo entusiasmo all’uomo tecnologico, che presto però precipitò nel decadentismo dove ancora una volta l’uomo venne avvolto da un senso di languore, di smarrimento, di angoscia mentre l’immagine della morte tornò a dominare la scena.
E volendo fare un parallelo tra questo percorso dell’Umanità (filogenesi) con l’ontogenesi del singolo individuo, vedremo l’uomo talvolta esaltare la sua ragione, altre rifugiarsi nella fede, ultimo baluardo che lo riscatti dal terrore di essere annichilito ed inglobato nel grande mistero che lo sovrasta.
Io non faccio certo eccezione, essendo da sempre gravato da dubbi, ripensamenti, perenne ricerca della Verità. Ho letto, per esempio, attentamente Odifreddi che analizza lucidamente tutta la Bibbia. Egli dimostra l’assurdità dei tempi, dei costumi, della morale di cui essa è pervasa, ma non mi ha convinto del tutto. Son passato ad assaporare la più sottile analisi del costume che fa Comte Sponville ne “Lo spirito dell’ateismo” dove si dimostra che non essere credenti non significa ripudiare la propria cultura, le proprie origini cristiane. Ho riletto poi Hawking che mi ha trascinato nell’infinito mondo di un Universo in espansione, in uno spazio-tempo che, come c’insegna Einstein, diventa un’ opinione o una sensazione come il sapore, l’odore, il colore. Ho capito che tutto è relativo e mi ritrovo, alla fine del viaggio, più frastornato di prima ma ho compiuto il percorso, tutto quello che il sapere degli altri mi può trasmettere e almeno, prima di buttarmi nelle braccia dei molto improbabili angeli, ho voluto sfamare la mia ragione che mi fa gridare con Nietzsche : “Dio è morto” ucciso si dalla ragione e dalla scienza, ma anche dall’ipocrisia di chi predica dagli altari povertà e bontà con i salmi e le parabole, mentre nuota nel lusso, nella magnificenza, nell’agiatezza e nell’arroganza. E con questo non voglio ripudiare la religione ma prenderne soltanto la parte migliore. Attenersi ai comandamenti “divini” secondo la massima popolare salentina:
“Fane come u prete dice, nù comu u prete face”.