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Fanghi da attività estrattiva: le condizioni per non considerarli rifiuti

Creato il 14 maggio 2015 da Ediltecnicoit @EdiltecnicoIT
Fanghi da attività estrattiva: le condizioni per non considerarli rifiuti

La Corte di Cassazione ha recentemente ricordato le condizioni che devono ricorrere perché i fanghi da attività estrattiva (fanghi derivanti dal lavaggio di inerti) siano sottratti alla disciplina del Testo Unico dell’Ambiente.

Nel caso deciso con sentenza del 2 marzo 2015, n. 8982, la terza sezione penale della Cassazione ha nuovamente richiamato le condizioni in base alle quali, ai sensi dell’art. 185, comma 2, lett. d) del d.lgs. 152/2006, ai rifiuti derivanti da attività estrattive non viene applicata la disciplina generale rifiuti di cui alla parte IV del medesimo decreto legislativo, bensì quella speciale di cui al d.lgs. 117/2008.

Nello specifico, i giudici di legittimità affermano che “i fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava (fanghi da attività estrattiva) non rientrano nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti solo quando rimangono all’interno del ciclo produttivo dell’estrazione e della connessa pulitura, mentre quando si dia luogo ad una loro successiva e diversa attività di lavorazione devono considerarsi rifiuti sottoposti alla disciplina generale circa il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica”.

Elemento discriminante ai fini della corretta individuazione della normativa applicabile appare quindi la qualificazione dell’attività di pulitura degli inerti estratti quale attività interna (quindi intrinsecamente connessa) al ciclo produttivo/operativo di riferimento.

Nel caso di specie, la Cassazione (pur rinviando la questione al giudice di merito per una nuova valutazione alla luce di intervenute modifiche alla legge regionale) ritiene ammissibile che tale concetto di “attività interna” possa estrinsecarsi anche in presenza di un impianto di pulitura situato all’esterno del perimetro della cava di riferimento, ma collegato funzionalmente con quest’ultimo dal fatto di essere di proprietà del titolare dell’autorizzazione della cava stessa e di ricevere esclusivamente materiali da quest’ultima provenienti e non da soggetti terzi (in tal senso è in effetti strutturata la legge regionale di riferimento).

In buona sostanza, il concetto di attività interna non deve essere letto da un punto di vista esclusivamente spaziale, bensì può essere interpretato dando risalto alla funzione per cui l’attività (e il relativo impianto di pulitura) viene esercitata.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di maggio della rivista L’Ufficio Tecnico di Maggioli Editore. Scopri i contenuti della rivista e abbonati sul sito dei periodicimaggioli.

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