“È una curiosità morbosa, sporca, quella che in alcune occasioni della mia vita mi ha spinto a proseguire, a perseverare nonostante ogni cosa intorno mi dicesse di smetterla, di lasciar perdere.” – “Carta e Ferro“
In principio mi ero posta di cercare un racconto sul Capodanno e quindi di leggere “L’ultimo capodanno dell’umanità” di Niccolò Ammaniti, da cui nel 1998 è stato tratto il film di Marco Risi. Ma lo scritto non è più disponibile in singola edizione. È stato accorpato a “Fango”: la raccolta di racconti che lo scrittore romano ha pubblicato nel 1996 con la casa editrice Einaudi. E poiché il suo stile attrae come una calamita, mi è stato impossibile smettere la lettura fino all’esaurimento delle sei storie – “Carta e Ferro” viene considerato un unico racconto.
A questo punto “Fango” è terminato, senza che me accorgessi, lasciandomi una strana nostalgia per quella fine giunta troppo presto. E così, eccomi qui a parlarvi dell’intera opera.
La prosa di Ammaniti è essenziale: descrizioni incisive, molti dialoghi e personaggi che si delineano in base agli eventi. Mai a causa di idee preconcette. Egli descrive la società “borderline”, che sta fuori dalla norma e vive il cosiddetto mondo della trasgressione.
“Fango” estremizza questi caratteri, perché viene prima di altre opere, quali ad esempio “Io non ho paura” (2001) oppure “Io e te” (2010). Fa parte di quella che è la formazione “cannibalesca” dell’autore. Con il termine “cannibali” si definiscono alcuni scrittori che, in Italia, hanno determinato un vero e proprio fenomeno letterario alla fine degli anni Novanta. Per il crudo ed efferato realismo con cui essi descrivono nei loro romanzi i fatti di sangue, questi libri sono stati etichettati come “pulp”, in riferimento al film di Quentin Tarantino “Pulp fiction”. E agli esordi, Niccolò Ammaniti fa a tutti gli effetti parte del gruppo.
“L’ultimo capodanno dell’umanità” è il primo racconto, ed è anche il più lungo: quello che “monopolizza” l’intera raccolta. Esso narra lo svolgersi dell’ultima notte dell’anno in un comprensorio chic di Roma. Una serata di festa, che ognuno si appresta a vivere come meglio crede; avente per comun denominatore tratti grotteschi e violenti. Due ragazzi, sotto effetto di droga, faranno esplodere l’intero abitato, gettando della dinamite nella caldaia. Curioso è che a salvarsi sia solo chi ha cercato volontariamente la morte.
“Rispetto”, il secondo racconto, è il più crudo. Dopo una notte passata in discoteca, alcuni ragazzi in preda ai fumi dell’alcol si danno allo stupro di gruppo, infliggendo violenze inaudite su tre ragazze ignare e conosciute quella stessa sera.
“Ti sogno, con terrore” è il racconto che tiene più col fiato sospeso. Una giovane ricercatrice, trasferitasi da poco a Londra, è ossessionata in sogno dal suo ex ragazzo. Verrà a sapere che in Italia è ricercato quale colpevole di alcuni omicidi seriali, anche se la follia compie brutti scherzi e niente è come sembra.
“Lo zoologo” è il più “splatter” dei sei racconti, se mi permettete il termine. È la storia di un giovane studente che, alla vigilia dell’esame di zoologia, viene ucciso per salvare un barbone e si trasforma in uno zombie.
“Fango” dà il titolo all’opera, e parla di un giovane malavitoso, spacciatore di droga, che pagherà a caro prezzo il fatto di avere tradito il boss per cui lavora.
“Carta” è allucinante, poiché narra di una disinfestazione compiuta da un gruppo di operatori sanitari in un appartamento in cui vive una donna anziana, mentalmente disturbata, che si trasforma in un vero e proprio incubo di sangue.
In “Ferro”, l’uomo e la “macchina” si uniscono in un amplesso e trovano l’amore. Se non altro, è il più positivo della raccolta.
A parte il racconto ambientato a Londra, assistiamo alla presentazione di una Roma stravolta, che sconfina nel territorio della pazzia, popolata da drogati, prostitute e persone violente, sempre pronte ad esplodere e a capovolgere la situazione iniziale di apparente tranquillità. A trasformarla in un incubo di morte. Ammaniti delinea quel “buco nero” in cui una certa parte di umanità è caduta, senza possibilità alcuna di redenzione. La Roma periferica e degradata alla quale lavora, spingendo ogni senso al limite, anziché produrre un effetto tragico ne produce uno grottesco. Questo perché vi è anche una componente comica in Niccolò Ammaniti, quasi se l’istintività lo portasse in un certo senso a fermarsi e a volere osservare.
Occorre penetrare la superficie, e rendersi conto che questo linguaggio così scorrevole – ricco di “slang” e turpiloquio -, tipico dei giovani, rappresenta il suo modo di narrare, ma anche quello di prenderci un po’ in giro. Vi è sempre un fondo di “fiction”, in quello che dice, e quindi di scherzo.
La realtà minuziosamente osservata si unisce ad una fervida fantasia, in grado di rendere “esplosivo” anche l’amaro spettacolo della morte. Far sorridere il lettore, narrando le peggiori nefandezze del genere umano, non è da tutti.
Per questo pongo “Fango” fra i capolavori che riuniscono in sé diversi generi letterari. Una lettura appassionante che saprà intrattenere anche le generazioni future.
Written by Cristina Biolcati