Qualcuno già grida all’assedio, scandalizzati i puristi fedeli alla farmacopea tradizionale si affannano nella resistenza più serrata, inermi di fronte al recente imperversare di strani passaggi pubblicitari ed autorevoli prese di posizione tanto decantate dai media generalisti, accomunati nello strenuo tentativo di insidiarsi subliminalmente nel profondo dei subcoscienti più fragili. Una lotta impari che adesso come non mai deve fare i conti anche con la ricerca scientifica e il suo più agguerrito garante: il processo di peer review.
Ma perché un rimedio alternativo senza alcuna pretesa di plausibilità scientifica, riesce a riscuotere un tale successo, perché viene promosso, prescritto, assunto con fede incondizionata, rimborsato come un normale farmaco classico, propagandato come una panacea supportata dall’ambiguo motto Similia similibus curantur?? Questo forse è il vero mistero…
Il principio sul quale si basano le tecniche omeopatiche consiste in una lunga serie di diluizioni, spinte a tal punto da rendere il principio attivo della soluzione madre nient’altro che un mero “ricordo molecolare”. Il paradosso curativo che va contro ogni logica razionale, prevede addirittura che all’aumentare della diluizione, aumenta anche l’effetto terapeutico. Intanto aumentano anche gli interessi economici in gioco, i fatturati dell’industria omeopatica sono in crescita vertiginosa…
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Il dibattito scientifico oggi è più acceso che mai, i tentativi di attestarne una sorta di attendibilità circondata da affermazioni più o meno fantasiose sembrano moltiplicarsi e giungono da ogni dove. Secondo il dr. Jayesh Ramesh Bellare dell’Indian Institute of Technology (IIT) di Bombay ad esempio, alcuni rimedi omeopatici molto diluiti a base di metalli, contengono ancora quantità misurabili del materiale di partenza, anche alle diluizioni più estreme, contraddistinte dal valore 200C. Detto così, in una riflessione superficiale ciò non desterebbe molti sospetti, ma proviamo a capire con cosa abbiamo a che fare.
Intanto, osserviamo subito che gli omeopati sono soliti misurare le loro diluizioni con diversi metodi, tanto per distinguersi dalle convenzioni utilizzate in altri ambiti, e per complicare ancor più i calcoli, esistono almeno due diverse scale di potenza: la scala X (talvolta chiamata scala D) e la scala C, separate da un semplice fattore 2, altro mistero inspiegabile. La corrispondenza con la scala di diluizione comunemente utilizzata nei laboratori è riportata nella tabella che segue.
Nella sua ricerca, il team indiano non propone spiegazioni sull’efficacia dei metodi omeopatici, né azzarda ipotesi sui meccanismi terapeutici, tuttavia l’abstract [1] riporta qualcosa di stupefacente:
“Abbiamo dimostrato per la prima volta tramite il microscopio elettronico a trasmissione (TEM), la diffrazione elettronica e l’analisi chimica mediante tecniche di spettroscopia di emissione atomica applicata al plasma ad accoppiamento induttivo (ICP-AES), la presenza di entità fisiche in queste diluizioni estreme, sotto forma di nanoparticelle dei metalli di partenza e i loro aggregati.”
Ora io, da buon chimico impertinente, mi permetto di fare qualche innocua (al pari dei preparati omeopatici) considerazione. Lasciamo perdere la tendenza sempre più abusata nel nominare un nano-qualcosa, che fa sempre il suo spettacolare effetto. Tanto per dare qualche ordine di grandezza preliminare, pensiamo alla dimensione di un protone, o idrogenione, che corrisponde circa a 10-15 metri. Sul versante del macrocosmo invece, l’ampiezza dell’universo osservabile secondo le ultime stime, si estende per 96 miliardi di anni luce, cioè 1027 metri. Un rapido calcolo ci permette di valutare che da un minuscolo protone alle vastità inimmaginabili dell’universo, passiamo “solo 42 ordini di grandezza, se espressi in potenza di 10. Non paghi, consideriamo il contenitore e il contenuto, essendo l’universo in prevalenza costituito da spazio vuoto, grazie al calcolo del fisico e astronomo Sir Arthur Eddington, sappiamo che il totale dei protoni nell’universo corrisponde circa a un numero dell’ordine di 1079, i quali sono dispersi in un volume di 1035 anni luce cubici, o 101645 m³, tralasciando i decimali. Questo significherebbe che mediamente un protone potrebbe essere “diluito” in 1035 m³ di spazio, se solo riuscissimo a performare un’opportuna succussione universale, o dinamizzazione, avremo un volume di soluto su 1078 volumi di solvente. Ah, la potenza delle potenze, rendono tutto così semplice!
Tornando sui numeri altrettanto grandi delle diluizioni omeopatiche, una diluizione di 200C esprime una concentrazione effettiva di una parte di “soluto” in 10400 parti di solvente. Probabilmente i preparati alternativi si avvalgono di numerosi universi alternativi per soddisfare la crescente richiesta del mercato e la fame di solvente. Peccato però che le stesse analisi non rilevano sensibili variazioni nella concentrazione delle tracce di nanoparticelle dalla diluizione 6C (1:10-6) in poi, che graficamente risulta nel tipico comportamento di una iperbole asintotica. Non si sente nemmeno il bisogno di scomodare il nostro beneamato numero di Avogadro, che è uguale a circa 1024 molecole/mole (6,022 1023 mol −1): infatti, mediante una diluizione 12C o una 24D della stessa mole di sostanza, si raggiungerebbero livelli di concentrazione che prevederebbero mediamente, al più, una sola molecola del farmaco per flacone, certo, Heisenberg permettendo!
Non sorprende quindi che anche i teorici sostenitori dell’omeopatia più tenaci si siano arresi, ammettendo che la spiegazione del fenomeno è ignota e i meccanismi non potranno mai trovare un supporto scientifico, continuando però a sostenere che maggiore è la diluizione, maggiore è la potenza curativa dell’improbabile rimedio.
Esempi di cluster d'acqua naturali che vengono utilizzati come "prova" della memoria dell'acqua.
La congettura pseudoscientifica che maggiormente ha fatto discutere, si appoggia alla fantomatica memoria dell’acqua, che si teorizza spiegando che le molecole per un determinato periodo di tempo, anche dopo numerose trasformazioni e a grande distanza dal luogo di origine, conserverebbero una geometria molecolare derivata dagli elementi chimici con cui sono venute a contatto. Questa tesi spesso viene supportata con i dettami dell’elettrodinamica quantistica, la quale descrive tutti i fenomeni che coinvolgono particelle elettricamente cariche interagenti per mezzo della forza elettromagnetica, ed è stata definita il gioiello della fisica per le sue predizioni estremamente accurate di quantità come il momento magnetico anomalo del muone, e lo spostamento di Lamb-Retherford dei livelli energetici dell’idrogeno. Sono certo che Richard Feynman avesse in mente tutt’altro che la medicina omeopatica, quando propose le sue rivoluzionarie teorie…
Adesso tutti potremo sperare che l’acqua non soffra di qualche forma di amnesia, altrimenti ne potrebbe risentire quell’effetto placebo identificato come responsabile di numerose guarigioni che altrimenti avrebbero del miracoloso, e qualcosa ne sa anche il premio Nobel Luc Montagnier, che di recente ha affermato di avere finalmente le prove sperimentali che conferirebbero solide basi scientifiche per l’omeopatia.
Alcuni rimedi omeopatici in pillole. In questo caso il problema della memoria dell'acqua non si pone. Forse è la memoria dello zucchero?
Ora, il premio Nobel potrà anche essere in buona fede, ma di certo non si disturba nel ricordare che già dal 1988, Nature aveva pubblicato un controverso studio [2] di Jacques Benveniste, un immunologo francese che riportava i risultati dell’azione delle diluizioni estreme di immunoglobuline IgE sulla degranulazione dei basofili umani, una congettura che giustificava le pratiche omeopatiche, ma che gettava nell’oblio secoli di conoscenze nei campi della fisica, della chimica e della medicina. Immediatamente una commissione specializzata si mise al lavoro per verificare le affermazioni di Benveniste, ripetendo le sperimentazioni con il metodo scientifico e in doppio cieco. Non fu difficile per la commissione riscontrare una pesante manipolazione dei risultati da parte del medico francese, confermando così i sospetti di una consapevole falsificazione dei dati, una vera e propria truffa insomma.
Benveniste tuttavia riuscì a vincere qualcosa, ben due premi IgNobel per la chimica: nel 1991 per il suo prolifico proselitismo e corrispondente dedicato di Nature, per la sua persistente convinzione che l’acqua, H2O, è un liquido intelligente, e per aver dimostrato alla sua soddisfazione che l’acqua è in grado di ricordare eventi anche molto tempo dopo che ogni traccia di quegli eventi fosse svanita. Nel 1998 arriva il secondo premio, per la sua scoperta omeopatica che non solo l’acqua ha una buona memoria, ma che le informazioni possono essere trasmesse anche su linee telefoniche e via web.
La nuova ribalta, dopo l’infinito numero di improvvisati specialisti omeopati dai miracoli che ci hanno provato in questi ultimi venti anni, vede l’ultimo nato sul percorso della riabilitazione scientifica di questa pratica oramai del tutto fantasiosa, con una dichiarazione straordinaria, degna dei più ciechi appassionati della fantascienza d’autore, e che molti media hanno promosso come fosse la rivelazione del secolo: il DNA si teletrasporta da cellula a cellula!
Immagino i volti perplessi di chi apprende questa notiziola per la prima volta, anche se spero che gli amanti della science fiction siano diventati un po’ più smaliziati di quanto fossero qualche decennio fa. Entriamo nel dettaglio: si tratta di un preprint pubblicato da arXiv [3] in corso di accettazione, dal titolo DNA waves and water (DNA onde e acqua). L’abstract in questo caso riporta (adattamento mio):
Sequenze di DNA batterico e virale inducono onde elettromagnetiche a bassa frequenza in soluzioni acquose estremamente diluite. Questo fenomeno sembra essere innescato dalla radiazione elettromagnetica di fondo a frequenze molto basse. Presentiamo questo fenomeno nel quadro della teoria quantistica dei campi. Viene proposto uno schema in grado di spiegare le osservazioni proposte. Il fenomeno segnalato potrebbe consentire lo sviluppo di sistemi di rilevamento estremamente sensibili per infezioni croniche batteriche e virali.
A questo punto, con estrema pazienza, bisognerebbe analizzare con cura ogni anfratto del paper, alla ricerca di qualche dato incontrovertibile e straordinario che supporti questa tesi altrettanto straordinaria. Fortunatamente in molti si sono prodigati nell’espressione dei proprio dubbi, come Derek Lowe qui e qui, che non si risparmiano di recitare la solita rituale formula magica: portateci dei dati da riprodurre, cosicché possiamo parlare di qualcosa di tangibile, perbacco!
Già perché, come al solito si tratta di non sconfinare nella metachimica, solerte alleata della metafisica, evoluzione alchemica empia di crogiolate di pseudoscienze. Forse non basta sostenere che il fenomeno si manifesta esclusivamente per diluizioni estreme, dove anche la PCR più scrupolosa troverebbe difficoltà di replicazione. Non può essere sufficiente farcire di teorie esotiche una materia consolidata, per dimostrare che una provetta contenente tracce omeopatiche di DNA, grazie all’entanglement quantistico trasmetta informazioni elettromagnetiche capaci di replicare la doppia elica per mezzo delle provvidenziali nanostrutture d’acqua.
Tuttavia non posso che ammirare il dottor Montaignier per il suo (lungimirante? Incosciente?) coraggio nel prendere le parti di una pratica così indifendibile, e gli augurerei ogni fortuna nel suo futuro, se non fosse che spesso l’etica che accompagna questi personaggi, latita inesorabilmente, procurando l’alibi per sperimentazioni azzardate e conflitti di interessi del tutto inopportuni. [4]
Non è superfluo ricordare che in Italia l’immissione in commercio di un prodotto omeopatico è regolata dal Decreto Legislativo n. 185/95 del 17 marzo 1995, in cui all’articolo 3 inoltre si fa espresso divieto di pubblicizzare i prodotti omeopatici. Peccato che ciò non si applichi alla promozione di un’azienda che produce detti preparati.
Facciamo una previsione, scommettete che il prossimo scoprirà che la memoria dell’acqua affonda le sue fondamenta nel teletrasporto temporale? Come dite, c’è già?
Piccola precisazione personale (solo se non vi sono bastate le altre), non ho nulla contro l’omeopatia in sé e i suoi rimedi, considerando la provata efficacia dell’effetto placebo, se una cosa funziona è giusto che venga sfruttata con l’opportuna consapevolezza. Quel che trovo intollerabile, è la pretesa di competizione, nella medicina e nelle altre dinamiche scientifiche, avvallando e predisponendo tutta una serie di cialtronerie senza alcun fondamento che non sia il mero profitto ai danni dell’ignoranza. E gli esempi, anche ai giorni nostri, continuano a suscitare attenzioni e ricerca dell’imponderabile, dando adito ai più furbi di approfittare della fiducia altrui, giocando pericolosamente con la salute e la vita di coloro che credono incondizionatamente.
[1] doi:10.1016/j.homp.2010.05.006
[4] Luc Montagnier e l’omeopatia
Jacques BenvenisteJacques Benveniste
Chikramane, P., Suresh, A., Bellare, J., & Kane, S. (2010). Extreme homeopathic dilutions retain starting materials: A nanoparticulate perspective Homeopathy, 99 (4), 231-242 DOI: 10.1016/j.homp.2010.05.006
Davenas, E., Beauvais, F., Amara, J., Oberbaum, M., Robinzon, B., Miadonnai, A., Tedeschi, A., Pomeranz, B., Fortner, P., Belon, P., Sainte-Laudy, J., Poitevin, B., & Benveniste, J. (1988). Human basophil degranulation triggered by very dilute antiserum against IgE Nature, 333 (6176), 816-818 DOI: 10.1038/333816a0
L. Montagnier, J. Aissa, E. Del Giudice, C. Lavallee, A. Tedeschi, & G. Vitiello (2010). DNA waves and water q-bio.OT arXiv: 1012.5166v1