di Rina Brundu. Nel suo pezzo “Il popolo delle scimmie (L’ordine nuovo, 1921)”, Antonio Gramsci scriveva “Il fascismo è stata l’ultima “rappresentazione” offerta dalla piccola borghesia urbana nel teatro della vita politica nazionale”. E poi andava avanti raccontando di come col venire meno di ogni sua “funzione () nel campo della produzione”, si fosse spalancata davanti a questo particolare ceto sociale la porta della “pura classe politica” specializzata nel “cretinismo parlamentare”. “Questo fenomeno che occupa una gran parte della storia contemporanea italiana, prende diversi nomi nelle sue varie fasi: si chiama originalmente “avvento della sinistra al potere”….” – continua a scrivere Gramsci – fino a quando la piccola borghesia si “incrosta nell’istituto parlamentare”, “diviene una bottega di chiacchiere e di scandali, diviene un mezzo al parassitismo”. Impossibilitata, infine, a “riacquistare una funzione produttiva….essa scimmieggia la classe operaia, scende in piazza”. Poi quando il “popolo delle scimmie, il quale crede di essere superiore a tutti gli altri popoli della jungla, di possedere tutta l’intelligenza, tutta l’intuizione storica, tutto lo spirito rivoluzionario, tutta la sapienza di governo, ecc.”, si trasforma, la via segnata non potrà essere che quella della corruzione parlamentare e quindi del fascismo. Appunto.
Lungi da me l’idea di paragonare l’odierno discorso del segretario PD - discorso fatto nel corso dell’inaugurazione della corrente Festa Democratica di Reggio Emilia - allo scritto gramsciano, meno che meno di fare un confronto tra Bersani e il filosofo sardo, certo però che questo mitico (ideale?) ceto della “gente per bene” a cui Bersani si raccomanda, una qualche paradossale somiglianza con il “popolo delle scimmie” di Gramsci ce l’ha. In primo luogo non è una entità (neppure partitica) definita (ovvero, non fa equazione con gli iscritti al PD o ad un qualsiasi altro partito), esattamente come non era una entità così nettamente definita il ceto della “piccola borghesia” d’antan; ad un tempo sembrerebbe soffrire di un complesso di superiorità etica, culturale, intellettuale ravvisabile nell’opposizione gente per bene vs gente meno da bene, ricalcando uno dei peggiori vizi del “popolo delle scimmie” di cui sopra. Infine, con il suo appello alla “gente per bene” affinché si metta al servizio dei riformisti, per una vera “riscossa civile e morale”, sembrerebbe che il segretario del PD intenda consegnare solo e soltanto a questo “popolo eletto” il compito che fu pure della “piccola borghesia”, ovvero quello di “scimmiottare” la classe operaia. Peggio ancora di uccidere alla radice le sue importanti motivazioni di lotta, allo scopo di occuparne la rilevante “funzione sociale” e dunque giustificare la propria esistenza politica.
Il tutto per dire che, a mio avviso, meglio sarebbe stato se anziché rivolgersi alla “gente per bene”, il segretario del PD si fosse rivolto direttamente agli operai, ai precari, ai lavoratori, agli imprenditori più o meno piccoli (o grandi), chiamandoli con il loro giusto nome, e senza idealizzarne lo spirito etico. Occorrerebbe infatti ricordare che tutte quelle categorie sociali sono formate da uomini e donne proni a condividere, a sperimentare gli stessi vizi, a nobilitarsi con le stesse virtù. Senza dimenticare che, oltre le obosolete barricate partitiche, soprattutto dentro quelle associazioni politiche libere che si stanno formando oggigiorno nell’web, fanno attivismo migliaia di individui molto brillanti e informati, i quali, in barba alla dialettica esagerata (del resto, neppure Gramsci ci andava troppo leggero!), e alle coreografie nazionalpopolari di ritorno SONO GENTE PER BENE. E NON SONO FASCISTI!
Semplicemente sono persone che, a ragion veduta, si rifiutano di ridursi allo stato scimmiesco teorizzato da Gramsci. Del resto, da quando quel filosofo scriveva del “popolo delle scimmie” sono passati più di 90 anni e anche la generazione del segretario PD ha avuto tutto il tempo di dimostrare di che pasta politica era fatta. Prima di fallire! O, per dirla con un noto detto popolare rivisto in salsa politico-filosofica, a questo punto della storia parlamentare se imitare è pseudo-umano, perseverare è diabolico: meglio cambiare pagina politica, dunque, anche se digitale!
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