E' la cosiddetta "Spirit Photography" che fece la fortuna di molti e in fondo consolò molti altri, visto che permetteva a chi aveva subito dolorose perdite (specialmente durante il periodo della Grande Guerra) di rimanere idealmente in contatto con l'anima del defunto. Niente sembra reale come l'illusione, e niente sembra reale come una fotografia, soprattutto. Da allora di tempo, e di tecnologia, ne è passata sotto i ponti, ma in fondo mi chiedo a volte se noi fotografi (a prescindere dal genere di immagini che produciamo) non abbiamo continuato a riprendere altro che fantasmi. Macerie, testimonianze di cose che non esistono più, esuvie prive di ogni realtà.
Mi chiedo anche, e spesso, se non sia questo il vero ruolo della fotografia. Consolare, piuttosto che testimoniare, o peggio rivelare. Se noi riflettiamo su ciò che è davvero il tempo, una sorta di macchina tritatutto, simile a quelle che a volte si vedono sulle strade che tolgono l'asfalto vecchio trasformandolo in graniglia, ci potremo rendere conto che l'attimo, anche quando lo fermiamo perché è così bello - per dirla col Faust di Goethe - è pur sempre la trasformazione di una realtà viva in un fantasma, in qualcosa che è esistito e più non esiste, e di cui resta traccia grazie a un artificio tecnologico. Ancor più immateriale oggi che il digitale impera, e non ci sono più "veri" granuli d'argento, ma semplici bit elettronici.
Più che fotografi, Ghostbusters, direi...