Avvertenza. Questo non è un articolo pieno di grafici e numeri e tabelle che corroborano la notizia, dimostrando cioè che essa è "numericamente" rilevante. Non è nemmeno uno di quei pezzi di fact checking journalism (come parliamo tutti forbiti...) nel senso che non ho intervistato parte e controparte né citerò fonti o bibliografia. Questa è una piccola, insignificante storia. Che però accade, senza numeri. E' accaduta stamane. Prendetela come una storia, anzi come un racconto di fantasmi, di ectoplasmi evanescenti. Di quelli che si racconta(va)no accanto al fuoco, nelle serate invernali. E spero, crediate o no ai fantasmi, che vi faccia almeno un po' paura.
Càpita che un amico, malato da tanto tempo, ci lasci. Muoia.
La vita è come una scatola di cioccolatini, diceva la mamma di Forrest Gump, non sai mai cosa ti càpita. Qualche volta ti càpitano lacrime e dolore e condividerli ci fa sentire meno soli. Più umani, direbbe qualcun altro o diremmo noi.
Così accade che le persone sentano il bisogno, prima ancora che il dovere, di stare accanto a chi resta colpito dal lutto e di partecipare, esse stesse, alla cerimonia funebre.
C'era una volta (ecco che subentra la narrazione) un semplice metodo: si chiedeva un permesso al lavoro e, di norma, veniva concesso il "privilegio" di assentarsi. Per lutto.
Ammettiamo, in questa storia, che il protagonista possa essere un lavoratore del pubblico impiego. Mettiamo che si tratti, che so io, di un insegnante. Per di più, di uno di quegli insegnanti motivati, partecipi, membro di innumerevoli commissioni. Non un lavativo, insomma, ma uno di quelli che lavorano con coscienza. E nemmeno 'uno' ma 'una'.
Profe.
E la profe, ligissima al dovere come ogni giorno, ha chiesto il permesso, a preside e vice-preside. Facendolo per tempo: il funerale era stamani e ieri, pur in giornata di festa, si è attivata e si è messa in contatto per avvisare. Con l'anticipo possibile, vista la situazione. Nessuna risposta ieri, malgrado la mail (o meglio, una non-risposta via sms dalla vice, 'spallatonda'). Stamattina invece una bella risposta telefonica. E la risposta, ufficiale, della preside, è "no".
"Comunque le porgo le mie condoglianze, cara profe".
Eccolo, il livello delle persone.
Sia chiaro, chiarissimo, che la dirigenza ha ragione da vendere, in questa storia. Perché esiste una circolare interna alla scuola in questione in cui si dice che non ci si può assentare (nemmeno per motivi gravi ed improvvisi come un lutto?, aggiungo io) se non con un preavviso di giorni 3.
Quindi la storia è già finita?
Chissà...
Antefatto. Durante una riunione in cui la circolare è stata discussa (niente tabelle né check facting, mi spiace), la dirigente scolastica, forte del suo sacrosanto ruolo, ha dichiarato appunto che, da quella circolare in poi, sarebbero stati necessari 3 giorni di preavviso per qualsiasi richiesta di permesso. Quando la RSU ha fatto notare che ci potevano essere casi in cui non sarebbe stato possibile avvisare 3 giorni prima, la preside, forte del suo sacrosanto ruolo, ha ribattuto che "se 3 vi sembran troppi, allora facciamo 5".
Eccolo il clima, della storia.
Ora io non credo che le responsabilità dei "climi" e dei loro cambiamenti siano mai di uno e di uno soltanto. Non immagino che la cosiddetta "buona scuola" abbia già messo in moto tali meccanismi di uso del potere da parte di questi piccoli burocrati meschini che sanno essere alcuni dirigenti scolastici. Immagino che i cambiamenti hanno sempre storie lunghe e percorsi che partono da lontano. Eppure, a sentir raccontare chi nella scuola ci lavora oppure le rappresentanze sindacali, qualche gelido soffio di dirigismo affiora. Ora comandano.
Il potere logora chi non ce l'ha, diceva uno dei peggiori, ma il piccolo potere di certi ottusi inservienti della burocrazia a me pare, sinceramente, ancora più laido. Più meschino e più solitario. In qualche modo, se la parola avesse un senso, più "inutile". Una forma di debolezza e di mediocrità che a me, opinione personale, sembra la cifra distintiva e peculiare di un "nuovo" modo di pensare, di fare, di agire nella società. Una mediocrità che sta diventando la sostanza stessa dei rapporti (legali, sociali, politici e ancor di più umani) che ci legano, cittadino con cittadino, persona con persona.
Sappiamo anche che, in tempi in cui le condizioni materiali di molti sono peggiorate rispetto alle ragionevoli aspettative o agli standard, si risponde restrigendo i diritti degli altri in modo che il peggio sia comune. Si abbassa il livello, nello spirito del "mal comune, mezzo gaudio"...
Niente da dire, nell'economia della nostra storia di fantasmi: la mediocrità può essere liberamente esercitata e chi si trova a subirne le conseguenze sa che deve adeguarsi. Contratto e regole alla mano.
Possiamo però vederle, queste persone grette e tronfie, nascoste dietro la loro cattedra, che esercitano con fermezza il loro piccolo e insignificante nulla. E possiamo raccontare delle piccole insignificanti storie. E dobbiamo (nel senso che questo invece è proprio un 'dovere civico') tenere sempre a mente chi ci troviamo di fronte. Ed averne l'opinione che si merita.