Fanteria dello spazio – Robert A. Heinlein (estratto)

Creato il 02 giugno 2015 da Maxscorda @MaxScorda

2 giugno 2015 Lascia un commento

— Molto bene, signor Rico! Credo che il suo cervello stanco sia già stato messo abbastanza a dura prova per oggi. Domani mi porti una prova scritta, in logica simbolica, della sua risposta alla mia domanda. Le suggerirò un piccolo appiglio. Consultate il paragrafo sette del capitolo di oggi. Signor Salomon! In che modo la presente organizzazione politica si evolse dopo i Disordini? E qual è la sua giustificazione morale di tale processo?
Sally se la cavò alla meglio per quanto riguardava la prima parte. Nessuno è in grado di descrivere esattamente come nacque la Federazione terrestre: nacque, ecco tutto. Dopo che tutti i governi erano caduti, alla fine del Ventesimo secolo, qualcosa doveva pur riempire quel vuoto, e in molti casi furono i veterani tornati dal fronte a provvedere. Avevano perso una guerra, molti di loro erano senza lavoro, quasi tutti manifestavano un mero sdegno per i termini del Trattato di Nuova Delhi, e poi sapevano imbracciare le armi. Ma non fu una rivoluzione vera e propria, bensì un processo analogo a quanto era capitato in Russia nel 1917: il vecchio sistema era crollato, qualcuno doveva intervenire.
Il primo caso di cui si aveva notizia, quello di Aberdeen, in Scozia, era emblematico. Alcuni veterani si erano riuniti per garantire la sicurezza e porre fine ai tumulti e ai saccheggi: avevano impiccato alcune persone (compresi due ex combattenti come loro) e costituito un comitato nel quale erano ammessi esclusivamente veterani. Dapprima la cosa era stata puramente arbitraria: quegli uomini si fidavano un po’ solo dei loro pari, e di nessun altro. Poi, nel giro di un paio di generazioni, quella che era nata come una misura di emergenza si era trasformata in pratica costituzionale.
Probabilmente quei veterani scozzesi, essendosi trovati nella necessità di impiccare altri ex combattenti, avevano deciso che non bisognava permettere a nessun profittatore, trafficante, sanguisuga, imboscato, sporco borghese di dire la sua. I civili dovevano limitarsi a fare quello che veniva loro ordinato, mi seguite? A sistemare le cose ci avremmo pensato noi scimmioni. Questa, almeno, è la mia ipotesi. Perché credo che l’avrei pensata allo stesso modo. Gli storici sono concordi nell’affermare che l’antagonismo tra civili e reduci era più intenso di quanto possiamo immaginare oggi.
Sally spiegò la cosa con parole sue. Alla fine il maggiore Reid lo interruppe: — Domani mi porti le sue idee scritte, in non più di tremila parole. Signor Salomon, può dirmi la ragione, una ragione pratica, non teorica o storica, per cui oggi il diritto di voto è limitato ai soli veterani?
— Perché sono uomini scelti, signore. Più in gamba degli altri.
— Assurdo!
— Come, signore?

— È diventato sordo? Ho detto che è una risposta sciocca. Gli ex militari non sono più in gamba dei civili. In molti casi i civili sono molto più intelligenti. Questa era la giustificazione per quel colpo di Stato che venne tentato poco prima del Trattato di Nuova Delhi, la cosiddetta "rivolta degli scienziati". Figuriamoci! Lasciate che gli intelligentoni si mettano a dirigere le cose e avrete subito l’utopia. Ovviamente, vista la sua follia, è fallito. La ricerca scientifica, infatti, nonostante i benefici sociali che apporta, in sé non è una virtù. Quelli che la praticano possono essere individui così egocentrici da mancare di ogni senso di responsabilità. Le ho dato l’imbeccata, signor Salomon, è capace di raccoglierla?
— Ecco… gli ex militari sono gente disciplinata, signore. Il maggiore Reid si mostrò paziente. — Spiacente, no.
È una bella teoria, ma non è suffragata dai fatti. A noi due non è permesso votare finché rimaniamo in servizio, e non per questo si può sostenere che l’addestramento militare renda un uomo disciplinato solo nel momento in cui va in congedo. Il tasso di criminalità fra i veterani è più o meno lo stesso che fra i civili. E lei dimentica che in tempo di pace la maggior parte dei veterani, proveniendo da servizi ausiliari non combattenti, non è stata sottoposta al vero rigore della disciplina militare. Sono stati solo tormentati, sovraccaricati di lavoro e messi in perìcolo, eppure il loro voto conta.
Il maggiore Reid sorrise. — Caro signor Salomon, le ho rivolto una domanda trabocchetto. La ragione pratica per continuare con il nostro sistema è la stessa che perpetua qualsiasi cosa al mondo: il sistema funziona in modo soddisfacente. E tuttavia vale la pena di sottolineare i particolari. In ogni tempo gli uomini si sono sforzati di dare il voto a quanti fossero in grado di usarlo con saggezza, per il bene di tutti. Un primo tentativo fu la monarchia assoluta, difesa appassionatamente come "diritto divino del re". Talvolta si ebbero tentativi per scegliere un monarca saggio, invece di rimettersi completamente a Dio. È il caso, per esempio, degli svedesi, che scelsero di farsi governare da un francese, il generale Bernadotte. Ma di Bernadotte non se ne trovano sempre. Gli esempi della storia vanno dalla monarchia assoluta alla completa anarchia. L’umanità ha tentato migliaia di sistemi, e molti di più ne sono stati proposti, alcuni dei quali alquanto insoliti, come il comunismo ante litteram invocato da Platone sotto il fuorviante titolo La repubblica. Ma l’intento è sempre stato moralistico: formare un governo stabile ed equo. Tutti i sistemi tendevano a raggiungere questo scopo limitando il diritto di voto a coloro che si credeva avessero la saggezza necessaria per usarlo appropriatamente. Ripeto, tutti i sistemi, perfino le democrazie, escludevano dal diritto di voto almeno un quarto della popolazione effettiva, per via dell’età, della nascita, dei precedenti criminali e via dicendo.
Il maggiore Reid fece un sorriso cinico. — Non ho mai capito perché un imbecille di trent’anni fosse ritenuto più idoneo al voto di un genio di quindici, ma quella era l’epoca del "diritto divino dell’uomo della strada". Lasciamo andare, in fondo hanno pagato cara la loro follia. Il diritto di voto è stato soggetto a ogni tipo di regole: luogo di nascita, status sociale, colore della pelle, sesso, censo, istruzione, età, religione eccetera eccetera. Tutti questi sistemi funzionavano, ma nessuno come si deve. Tutti vennero considerati tirannici da qualcuno, e tutti finirono per crollare o per essere spazzati via. Ora noi stiamo sperimentando un ennesimo sistema, che a quanto pare funziona a meraviglia. Molti si lamentano, ma nessuno si ribella, e la libertà personale è massima per tutti, rispetto ai precedenti storici. Le leggi sono poche, le tasse minime, gli standard di vita sono alti in rapporto alla produttività, il crimine raro come mai lo è stato. Perché? Perché i nostri elettori sono più intelligenti di quelli del passato? No, questo l’abbiamo già escluso. Signor Tammany, mi saprebbe dire perché il nostro sistema funziona meglio di quelli usati dai nostri antenati?
Non so dove Clyde Tammany avesse pescato quel nome, secondo me era di origine indiana. Comunque rispose: — Direi che è per l’esiguo numero degli elettori. Sapendo che le decisioni spettano a pochi, ognuno le pondera attentamente. Così credo, almeno.
— Per favore, niente supposizioni. La nostra è una scienza esatta. E quello che lei ha detto è sbagliato. I nobili che governavano in tanti altri sistemi erano una piccola minoranza, perfettamente conscia delle proprie responsabilità. Inoltre, i cittadini con diritto di voto non sono affatto un numero esiguo. Lei sa o dovrebbe sapere che la percentuale di cittadini tra gli adulti va dall’ottanta per cento di Iskander a meno del tre per cento in alcune zone della Terra, eppure i governi sono più o meno uguali ovunque. Gli elettori non sono uomini selezionati con particolari criteri, non possiedono una saggezza speciale, né hanno un talento particolare, e nemmeno vengono addestrati a esercitare il diritto di voto. Dunque, dove sta la differenza? Ipotesi ne abbiamo ascoltate abbastanza, perciò ora vi darò io la definizione esatta. Con il nostro sistema, ogni elettore e ogni governante è un uomo che ha dimostrato, con anni di duro servizio volontario, di considerare il benessere della maggioranza più importante di quello personale. Questa è l’unica differenza pratica con il non elettore. Può mancare di saggezza, può scarseggiare in virtù civiche ma la sua prestazione media è assai migliore di quella di qualsiasi altra classe dirigente della storia. — Il maggiore Reid si interruppe per toccare il quadrante di un vecchio orologio e "leggerne" le lancette. — Il tempo è quasi trascorso e non abbiamo ancora stabilito qual è la ragione morale del nostro successo nel governarci. Ora, il successo continuativo non è mai dovuto al caso. Tenete presente che questa è scienza, e non una conclusione ottimistica. L’universo è quello che è, non quello che noi vorremmo che fosse. Il voto conferisce autorità. È l’autorità suprema, dalla quale derivano tutte le altre, anche la mia di rendervi la vita impossibile una volta al giorno. È forza, se preferite. Il diritto di voto è forza, nuda e cruda, il potere della frusta. L’autorità politica, non importa se esercitata da dieci uomini, o da un milione, o da dieci miliardi, è forza. Tuttavia, questo universo è formato di polarità che si equilibrano. Quale sarebbe il valore reciproco dell’autorità? Signor Rico, risponda lei.
Aveva scelto una domanda alla quale sapevo rispondere. — Responsabilità, signor maggiore.
— Mi congratulo. Sia per ragioni pratiche sia per ragioni morali matematicamente verificabili, autorità e responsabilità devono essere uguali, altrimenti avviene uno sbilanciamento, potete esserne certi come del fatto che la corrente scorre fra punti di diverso potenziale. Insediare un’autorità senza responsabilità significa provocare un disastro. Attribuire a qualcuno la responsabilità di qualcosa che non controlla equivale a comportarsi con cieca idiozia. Le democrazie erano instabili perché i loro cittadini non erano responsabili per il modo in cui esercitavano la loro autorità sovrana, tranne che sul piano della storia. Il tributo che dobbiamo versare noi per ottenere il diritto di voto era qualcosa di inconcepibile a quei tempi. Non si faceva niente per stabilire se un elettore era socialmente responsabile nella stessa misura dell’autorità che gli era consentito esercitare. Se votava l’impossibile, succedeva un disastro possibile, e a quel punto volente o nolente era costretto ad assumersi la responsabilità, che distruggeva sia lui sia il suo tempio privo di fondamenta. Considerandolo in modo superficiale, il nostro sistema è solo lievemente diverso: noi non facciamo questione di età, colore, credo, nascita, ricchezza, sesso o ideologia. Chiunque può guadagnarsi l’autorità sovrana grazie a un periodo di servizio militare normalmente breve e non eccessivamente arduo, qualcosa che i nostri antenati, gli uomini delle caverne, avrebbero considerato niente di più di un leggero esercizio fisico. Ma è quella sottile differenza a distinguere un sistema che funziona, in quanto costruito per corrispondere alla realtà, da uno intrinsecamente instabile. Poiché il diritto di voto rappresenta il massimo in fatto di autorità umana, facciamo in modo di assicurarci che colui che lo esercita sia disposto ad accettare il massimo della responsabilità sociale. Chiediamo a chiunque desideri esercitare un controllo sullo Stato di mettere in gioco la propria vita, e di perderla se necessario, per salvare la vita dello Stato. Il massimo della responsabilità che un essere umano può accettare è così equiparato al massimo di autorità che lo stesso essere può esercitare. Tanto mi dà tanto, e siamo a posto.
Poi il maggiore chiese: — Qualcuno saprebbe dirmi perché non è mai avvenuta una rivoluzione contro il nostro sistema? Nonostante ce ne siano state contro tutti i governi che la storia ricordi, e a dispetto, come tutti sappiamo delle lagnanze continue e forti anche tra noi?
Uno dei cadetti più anziani prese la parola: — Maggiore, da noi la rivoluzione è impossibile.
— D’accordo. Ma perché?
— Perché una rivoluzione, una levata di scudi, richiede non solo scontento, ma anche aggressività. Un rivoluzionario deve essere disposto a combattere e a morire, oppure è soltanto uno che chiacchiera a vuoto. Se voi separate i tipi aggressivi e ne fate cani da pastore, il gregge non vi procurerà mai grane.
— La spiegazione è ottima. Con le analogie bisogna andare cauti, ma questa è veramente azzeccata. Domani mi porterete anche una dimostrazione matematica. C’è tempo per un’altra domanda. Fatemela e risponderò. C’è qualcuno tra voi che vuole porla?
— Ecco, maggiore… perché allora non andare fino in fondo, pretendendo che tutti svolgano il servizio militare e che quindi votino?
— Giovanotto, lei può ridarmi la vista?
— Come? No, signore!
— Eppure si accorgerebbe che è molto più facile che instillare la virtù morale, ovvero la responsabilità sociale, in coloro che non la possiedono, non la desiderano e non tollerano di sentirsi gettare addosso un simile fardello. Per questo noi rendiamo così difficile l’arruolamento e così semplici le dimissioni. Un senso di responsabilità sociale che vada al di là della famiglia, o al massimo della tribù, richiede fantasia, devozione, lealtà, tutte le virtù più alte che un uomo deve sviluppare autonomamente. Se gliele imporrete, finirà per rigettarle. Nel passato si faceva così, e… Ma andate in biblioteca a consultare la perizia psichiatrica sui prigionieri che avevano subito il lavaggio del cervello nella cosiddetta Guerra di Corea, risalente al 1950 circa, il Rapporto Meyer, e domani fatemene avere un’analisi. — Toccò l’orologio. — Potete andare.


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