Se-jin (Jeong Yu-mi) è una giovane laureata dalla provincia di Seoul. Inizia a lavorare presto in una azienda della città, conquistando in breve una sua serenità. Quando la compagnia da lì a poco fallisce, il sogno temporaneo si infrange, e la ragazza è costretta a trasferirsi in un appartamentino seminterrato in una zona povera, in attesa di un nuovo impiego.
Alla porta accanto abita un figuro misterioso di mezza età, che la accoglie complicandole la vita in diverse occasioni: Se-jin scopre presto che Dong-Cheol è un gangster quasi tramontato, che aspetta il cospicuo rimborso che il capo gli deve per averlo sostituito in prigione trascorrendo le sue giornate ciondolando per strada con le mani in tasca. Mentre questa amicizia tra vicini si approfondisce con risvolti inaspettati, Se-jin si trova a confrontarsi con colloqui di selezione del personale spietati, impiegati viscidi che la ricattano e colletti bianchi che la umiliano gratuitamente.
É forte in tutti i cento minuti, che conducono ad un finale ironico e affettuoso, l’evoluzione di queste due anime, per le quali si arriva a parteggiare sinceramente: poiché, attraverso le prime delusioni, entrambe riprendono in mano le fila dei propri desideri senza lasciarsi assoggettare ad una vita già scritta.
Ma è Dong-Cheol (Park Joong-Hoon), picchiatore da strapazzo, con modi veraci e un cinismo pungente, l’arma segreta del film: coinvolgente, spiazzante nella schiettezza delle sue battute, abbraccia il pubblico nella sua goffa vicenda umana e ‘professionale’ con un’interpretazione solida e in continua crescita umana. Sarà lui, anima bianca messa a fare il cattivo, a redimere, grazie alla sua ingenua quanto saggia esperienza, se stesso, il suo stagista gangster e l’inquilina della porta accanto.
Fresco e coinvolgente, My dear desperado sa rappresentare la quotidianità con dettagliato rispetto, ritornando nei luoghi e negli spazi del vivere dei protagonisti: ecco che l’ingresso con le porte incastrate è un gioco di destini che si incrociano; la cena uno spazio intimo di confidenza e consolazione; la discesa davanti a casa diventa una passerella per esprimere le più intime verità dei protagonisti, che qui si infastidiscono, si salvano, si aspettano, si conoscono.
Kim Kwang-sik, alla sua opera prima, in principio sottovalutata ma poi ripagata dal botteghino, è riuscito in una commedia striata di critica sociale, abilmente scritta e per questo davvero piacevole da degustare.
Rita Andreetti