Mettetevi comodi: per leggere questo articolo ci vuole un po’ di tempo. Non un tempo qualunque, naturalmente, ma uno più immaginifico, che si possa percorrere avanti e indietro. Della ricerca sui viaggi nel tempo abbiamo recentemente parlato su Media INAF, sia a proposito della irreversibilità di determinati fenomeni quantistici, che dimostrerebbe l’impossibilità di tornare indietro nel tempo, sia di viaggi nel tempo relativistici che non richiedono necessariamente l’inversione della freccia termodinamica, come ha spiegato Mariateresa Crosta dell’Osservatorio Astrofisico dell’INAF di Torino nell’articolo Viaggiare a ritroso nel tempo si può.
Proprio a Mariateresa Crosta abbiamo chiesto aiuto per decifrare un articolo apparso lo scorso dicembre sulla rivista npj Quantum Information, riassunto dalla NUS, l’Università Nazionale di Singapore in cui lavorano alcuni degli autori del nuovo studio, con l’accattivante titolo Computing with time travel: fare i conti (al computer) con l’aiuto del viaggio temporale.
Particelle che viaggino indietro nel tempo su curve spaziotemporali di tipo tempo aperte potrebbero aiutare a risolvere problemi computazionali oggi ingestibili. Per quanto tali curve non permettano alcuna interazione con il passato, un nuovo studio sostiene che il guadagno di potenza di calcolo è assicurato finché esiste una correlazione quantistica di entaglement tra la particella che viaggia nel tempo e una nel presente. Crediti: adattato da npj Quantum Information
In estrema sintesi, gli autori analizzano le condizioni per cui un computer quantistico possa aumentare la propria potenza viaggiando nel tempo, ovvero sfruttando l’entanglement, la correlazione quantistica che può esistere tra due particelle, di cui una nel presente e l’altra a zonzo – ma, sia ben chiaro, senza alcuna interazione – per una curva spaziotemporale aperta.
Fantascienza? Non proprio. «Si tratta di questioni legate alla computazione quantistica che le curve spaziotemporali di tipo tempo chiuse (CTC) o aperte (OCT) permettono di risolvere, nell’ambito della teoria della complessità algoritmica», commenta Mariateresa Crosta a Media INAF.
«La teoria della relatività generale di Einstein, in presenza di deformazioni molto grandi della geometria dello spazio-tempo, permette l’esistenza di curve chiuse, linee attraverso lo spazio-tempo che, se seguite, permetterebbero di viaggiare a ritroso nel tempo, ovvero verso il passato – continua la ricercatrice. Teniamo presente che, quando si parla di viaggi del tempo, il “tempo” è un concetto relativo: un osservatore viaggia nel tempo rispetto a un altro osservatore quando il primo, a partire da un dato istante iniziale, viene a trovarsi nel futuro o nel passato del secondo. Affinché ciò accada occorre che il tempo dei due osservatori scorra con ritmi diversi e che ogni tentativo di violare la causalità del flusso sia impedito da reazioni di tipo fisico (per ora sconosciute) che la preservano».
Questo implica, banalizzando, che se andassimo indietro nel tempo e uccidessimo nostro nonno, pregiudicheremmo la nostra stessa esistenza nel presente. La rottura del flusso causale non solo minaccia i legami familiari, ma ha soprattutto notevoli conseguenze per la fisica quantistica. Nel corso degli ultimi due decenni, i ricercatori hanno dedotto che alcuni principi fondamentali della meccanica quantistica, come il principio di indeterminazione o il teorema di non-clonazione quantistica, soccombono in presenza di curve spaziotemporali chiuse.
“Conciliare curve spaziotemporali chiuse con la meccanica quantistica – che regola il comportamento della materia a scala atomica e subatomica – è un problema affrontato più volte ma di difficile soluzione», conferma Crosta. «Si parte dalla prescrizione che il viaggio nel “tempo” quantistico rappresenti effettivamente un canale di comunicazione dal futuro al passato».
Il computer quantistico D-Wave 2X comprato da Google e ospitato allo Ames Research Center della NASA. Crediti: D-Wave
Un noto canale di comunicazione quantistica è dato dal teletrasporto quantistico (vedi su Media INAF), tecnica che coinvolge principalmente il fenomeno dell’entanglement (che alcuni ritengono l’essenza stessa dello spazio-tempo), donando alle particelle l’apparentemente paradossale capacità di trovarsi contemporaneamente in più stati diversi, motivo per cui i bit quantistici (qubit) permettono di trattare, in linea di principio, molte più informazioni rispetto ai tradizionali bit elettronici. Una tecnica applicata all’informatica per far viaggiare l’informazione nei e tra i computer in modo esponenzialmente più rapido e sicuro.
A questo riguardo è utile ricordare la recente notizia dei ricercatori di Google che, dopo due anni di test, ritengono funzionare egregiamente l’esemplare di computer quantistico D-Wave 2X in loro possesso (qui un filmato esplicativo, in inglese).
Tornando al nuovo studio, arriviamo finalmente alla sua principale novità: come risolvere il “paradosso del nonno”, ovvero la rottura del flusso causale. «L’articolo in discussione considera la possibilità di curve spaziotemporali tipo tempo aperte (OTC) invece che chiuse (CTC), dove sistemi fisici possono viaggiare indietro nel tempo ma non interagiscono con se stesse o qualsiasi altro sistema nel passato del loro cono luce», spiega Crosta. «Questo vuol dire preservare gli aspetti benefici delle CTC, come la risoluzione di complessi problemi computazionali, senza sacrificare la causalità. Inoltre, dal punto di vista di un osservatore che rispetti la sua cronologia, una particella mandata attraverso una OTC mostrerebbe null’altro che una dilatazione temporale».
Come molta della meccanica quantistica, anche questo concetto è contro intuitivo. In pratica, si tratta di mandare un “messaggio” nel passato facendo ben attenzione che nessuno lo legga.
«Ogni volta che presentiamo l’idea, la gente dice che in nessun modo questo può provocare un effetto», ammette candidamente una delle autrici, Jayne Thompson del Centro per le tecnologie quantistiche presso l’Università Nazionale di Singapore. «Ma invece lo fa: le particelle quantistiche inviate su una curva temporale possono fornire super potenza di calcolo anche se non interagiscono con niente nel passato. Il motivo per cui vi è un effetto è che alcune informazioni sono memorizzate nelle correlazioni di entangling: questo è quello che stiamo sfruttando», afferma Thompson.
Non tutti i fisici, avvertono gli stessi autori del nuovo studio, ritengono che queste curve spaziotemporali aperte abbiano più probabilità di essere fisicamente realizzabili rispetto a quelle chiuse. Un argomento pragmatico a sfavore delle curve chiuse è che – finora e per quanto se ne sappia – nessuno si è mai presentato dal futuro per una capatina quantistica. Un argomento che non si applica al tipo aperto, perché siffatti messaggi dal futuro sarebbero bloccati, di fatto imperscrutabili.
«Se fosse vero», conclude Mariateresa Crosta, «ci sarebbe la possibilità che alcune conseguenze operative di determinati tipi di curve temporali siano osservabili anche senza la necessità di cunicoli spaziotemporali (i cosiddetti whormholes), e quindi avere la possibilità di “sperimentare” i benefici di una computazione quantistica nel regime della relatività generale molto presto».
Referenze:
- Replicating the benefits of Deutschian closed timelike curves without breaking causality, di Xiao Yuan, Syed M Assad, Jayne Thompson, Jing Yan Haw, Vlatko Vedral, Timothy C Ralph, Ping Koy Lam, Christian Weedbrook & Mile Gu, pubblicato su npj Quantum Information
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini