La Costituzione italiana dispone, all’art. 59, che ogni Presidente della Repubblica “può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Ritorneremo sull’argomento non appena sviluppato il nostro ragionamento.
Ma arrivati a questo punto degli avvenimenti italiani, nel pieno di una fase politica di scollamento delle istituzioni, di bagarre tra i partiti che vivono di reciproche faide e “convenzioni d’esclusione”, pregiudiziali e moralistiche, nonché di pericoloso ristagno economico, originato tanto da fattori estrinseci, quali il multipolarismo geopolitico sullo scacchiere planetario che ha frantumato i pregressi equilibri di mercato, ma anche da elementi intriseci, vedi l’incapacità della classe dirigente nazionale d’indicare una via autonoma di sviluppo e di progresso seguendo le specificità nostrane – il tutto portato a maggiore aggravamento dall’interludio tecnico di una squadraccia universitaria di Gabinetto guidata da un rettore bocconiano venuto in auge per salvarci finendo per affossarci – a questo punto drammatico, dicevamo, vorremmo rivolgere una domanda alla più alta carica dello Stato.
La domanda è la seguente: si è proprio sicuri che l’accademico Monti meritasse prima la nomina senatoriale perpetua e poi quella ministeriale in bianco, alla luce del suo curriculum e delle passate vicissitudini economico-politiche?
E’ ora di dire come stanno le cose affinché ognuno possa assumersi le proprie responsabilità, consegnando ai posteri una diversa e meno artefatta verità.
Abbiamo cercato dappertutto gli altissimi meriti “ex cathedra” di Mario Monti imbattendoci in scarne pubblicazioni scientifiche, comunque di dubbio valore, mentre sul lato collaborativo istituzionale abbiamo trovato unicamente indicibili demeriti, discutibili scelte e disastrose proposte. Il Tecnico Salvatore della patria, presentatosi al mondo come un paria che nulla doveva alla politica, aveva ricevuto, in realtà, già molto da essa, tra incarichi e collaborazioni, eppure qualcuno ha smentito sapendo di mentire per ingannare i compatrioti.
Per umanità taceremo le misere citazioni sui manuali specializzati ricevute da Super(ato) Mario, che pur chiamandosi Monti non pare proprio una cima, ma ci concentreremo sui concorsi di colpa con la partitocrazia vecchia e nuova.
Mario Monti viene alla ribalta, ribaltando i conti pubblici nostrani, negli anni ’80. Costui, attraverso una commissione di studio di Bankitalia presieduta da Paolo Baffi (ne parla ampiamente, in un articolo pubblicato nella rivista Monsieur, il Generale Piero La Porta) propose l’emissione di titoli di Stato con aste mensili e quindicinali, “in modo che il rendimento cedolare fosse fissato dal mercato, con scadenze tra i 5 e i 7 anni. Il che avrebbe garantito il mantenimento del potere d’acquisto e, secondo gli esiti delle aste, anche un piccolo rendimento dell’1-2%. Il Tesoro, concluse Monti, avrebbe avuto da 5 a 7 anni per programmare e finanziare meglio la spesa pubblica. La proposta passò con standing ovation. Aumentarono le tasse, la benzina e fecero i titoli a lungo termine. Il deficit non crebbe oscillando come in precedenza, ma andò su come un proiettile. Le spese dello Stato aumentarono invece di diminuire. Mario Monti procurava il credito che consentiva la follia politica economica oggi venuta a galla. In quegli anni schizzarono alle stelle le spese sanitarie, utili per procacciare voti e mantener famiglia (politica)”.
Ma non è finita perché ritroviamo Monti, nel 1989, aiutante del Ministro andreottiano del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, al quale offriva consulenze in materia di debito pubblico, spesa pubblica e programmazione economica. Con che risultati? C’è chi sostiene che proprio in quegli anni i conti italiani sfuggiranno di mano per non essere più ripresi sotto controllo.
Nel 1994 Mario Monti viene “spedito” da Silvio Berlusconi in Europa (commissario agli affari finanziari), e confermato da Massimo D’Alema nel 1999 (concorrenza e mercato); da lì inizia la sua leggenda di funzionario irreprensibile nella lotta ai monopoli.
Peccato che anche l’esperienza europea venga macchiata da uno scandaletto, al quale il bocconiano si dichiara totalmente estraneo. Stiamo parlando delle dimissioni in blocco della commissione Santer, nel 1999, per una serie di nomine allegre, non discendenti da competenza ma da appartenenza “affettiva” e famigliare. La commissione d’inchiesta del Parlamento europeo rivelò casi di frode e di nepotismo. Monti sicuramente non c’entra eppure c’era, mettiamola così. In ogni caso nemmeno qui vediamo questi fantomatici: “meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
Ma non vogliamo dilungarci oltre e non metteremo in questo piatto indigesto, forzatamente fatto ingurgitare agli italiani a colpi di minacce finanziarie, le altre “tessere” del puzzle, dalle simpatie massoniche, Trilateral e Bilderberg, alle corrispondenze d’amorosi sensi col mondo bancario e con le organizzazioni del mercato internazionale, tutto pur di non sembrare troppo italiano. Ci basta rimandare il dubbio al Capo dello Stato, perché con queste credenziali i meriti costituzionali, “nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” sono stati stracciati.
Non è che, allora, l’investitura senatoriale era garanzia d’immunità parlamentare per l’Illuminato, chiamato a svolgere compiti al limite della pubblica spoliazione e sopportazione, nel caso in cui qualche altro corpo dello Stato o la stessa cittadinanza si fossero talmente incazzati da volerlo mandare a gambe all’aria con metodi poco democratici?
Secondo noi non si sfugge da questa interpretazione dei fatti, proprio a cagione di quello a cui abbiamo assistito dopo. Qualcuno ha barato e ci auguriamo, proprio in questo paese dove si parla sempre di regolare i conti, che prima o poi gli venga presentato il conto. Iniziamo a pareggiare almeno il bilancio con la storia e poi provvederemo anche al resto.