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Fare radio in Messico

Da Darioanelli @dalmessico

Fare radio in Messico Se c'è una cosa bella nel fatto di vivere in Messico è che ti capitano cose che in Italia non osavi nemmeno immaginare. Per esempio collaborare ad un programma in una radio commerciale.
Da qualche mese, ogni quindici giorni, indosso i panni dell'esperto di ecologia, in un programma di divulgazione di notizie e consigli prodotto da una nota radio locale.
Vado allo studio in autobus, con la mia brava cartellina di cartone sotto il braccio la quale contiene le informazioni più importanti del mio intervento.
Il look che scelgo per l'occasione è sobrio, camicia, pantaloni, stivaletti da cowboy. I capelli un po' lunghetti creano quel minimo di disordine necessari per passare da persona originale.
In autobus dalla radio dell'autista si ascolta, volenti o nolenti, il programma del mattino: un misto di auguri e di buon giorno o meglio di buenos dias, notizie, chiamate telefoniche da parte del pubblico e musica pop latina.
Il locutore ha una voce giovanile di quelle che tirano su; ride spesso. Non dice cose particolarmente brillanti o intelligenti perché non è lo scopo del suo programma; lui è incaricato di tirare giù la gente dal letto e farle compagnia mentre va al lavoro, nient'altro.
Arrivato in centro mi reco alla stazione radio, cerco di essere sul posto quindici minuti prima dell'inizio del programma. Le prime volte, il nervosismo mi faceva giungere anche con un'ora di anticipo. Lo studio è al secondo piano. Salendo le scale, si arriva ad un'anticamera con divani rossi che ricorda la sala d'aspetto di uno di quei dentisti che si fanno pagare tanto: divani rossi, piante di ficus e riviste. A volte, seduti ad aspettare, si incontra qualcuno; la maggioranza è gente strana: artisti che aspettano di poter andare a promozionare il loro ultimo lavoro, predicatori, personaggi del sottobosco della politica, professionisti e qualche altro esponente dello zoo umano che non si riesce a definire.
C'è uno sportello protetto da un vetro dietro il quale una receptionist carina ti ascolta mentre gli spieghi chi sei e, se il tuo nome risulta su una lista che ha sotto gli occhi, preme un bottone che controlla l'apertura di una porta scorrevole a vetri.
“Dario Anelli” dico “Vado con Claudia (nome inventato)”.
Un sorriso e la porta scorre: “Vvvvvvv!” All'interno gli studi e gli uffici sono delimitati da semplici pareti di vetro, il che permette di osservare ogni attività; un tizio sorveglia una stampante laser che sputa una quantità di fogli, due stanno chiacchierando vicino al distributore dell'acqua, altri sono impegnati in chiamate telefoniche. L'ambiente è fighetto, formale e odora di soldi; non ne ho frequentati molti. Quasi tutti gli uomini indossano giacca, cravatta e mocassini di cuoio.
Passo davanti allo studio e do un'occhiata allo speaker che ascoltavo sull'autobus. E' solo nel suo studio davanti al microfono. Non ha bisogno di regia, fa tutto da solo. Parla a voce alta e, allo stesso tempo, preme i bottoni e gira le manopole di una console. A differenza degli altri, veste una maglietta nera con il logo della radio e un berretto con visiera. E' un po' sovrappeso.
E' divertente vederlo lavorare. Io però proseguo fino allo studio per le trasmissioni con intervista, più grande, con un tavolo a ferro di cavallo, il logo gigante della stazione radiofonica appeso alla parete e il vetro attraverso il quale è possibile comunicare con i registi. C'è un divano rosso vicino alla porta sul quale mi siedo ad aspettare ripassando quello che dovrò raccontare ovvero curiosità sugli alberi, cosa può comportare a livello locale lo spreco di acqua, come farsi il compost in casa, e via dicendo.
Mentre aspetto, le segretarie, ragazze selezionate prevalentemente per il loro aspetto fisico, sul quale potete abilmente fantasticare, mi passano accanto rivolgendomi una blanda occhiata estimatrice. 
Marca della camicia? dei pantaloni? delle scarpe? per caso il soggetto giocherella con il mazzo di chiavi della macchina? che macchina è? Fanno il totale e decidono se vale la pena salutare. Anche l'amore ha bisogno di indicatori.
Cinque minuti prima dell'inizio del programma arriva la presentatrice, la signora Claudia. Quarant'anni, psicologa; la conduzione del programma rappresenta per lei il suo secondo lavoro. E' un po' la star della situazione e si comporta da tale. Tacchi alti, vestito corto, decolté, una quantità di bracciali e collane, borsa in una mano e un bicchierone da mezzo litro di una bibita che non ho mai capito cos'è nell'altra.
“Dario, querido.” Quando la bacio faccio attenzione a non rovinarle il trucco. Lei non mi bacia mai la guancia, preferisce baciare l'aria per non lasciarmi segni di rossetto. Poi entra nello studio come se fosse casa sua e dispone sulla scrivania, nella parte bassa, dove non si vede, Iphone, palmari e altri aggeggi dalla dubbia utilità pensati da Steve Jobs.
Come sono arrivato lì, vi chiederete? Beh, il destino.
Mesi fa un mio collega professore, che collabora presso quella radio, mi aveva invitato al programma (il tema era Roma) e la signora Claudia credo mi abbia notato.
“Sai”, mi disse quando la incontrai per la prima volta: “Assomigli ad un mio ex fidanzato; era alto e magro come te.” Feci il programma, ringraziai e me ne andai contento dell'esperienza.
Mesi dopo il mio collega mi informò che la signora Claudia era interessata ad uno spazio di ecologia e che mi avrebbe contattato.
“Va beh” pensai. In Messico le affermazioni di qualsiasi tipo vanno prese con grosse pinze di ghisa. Invece qualche settimana più tardi la signora Claudia mi chiamò al telefono dicendomi di presentarmi allo studio. Lì ci accordammo che ogni quindici giorni avrei preparato un pezzo di ecologia di sette minuti.
Mentre mi spiegava queste cose toccava il mio ginocchio, forse per rassicurarmi che, lavorare nella principale emittente di Aguascalientes, non era poi così difficile.
Così ebbe inizio la mia, diciamo, carriera nei mass media.
Appena la signora Claudia raggiunge la postazione, il regista le solleva i capelli per collocarle un auricolare. Si accende la luce rossa e si comincia. E' un programma in diretta e la cosa mi innervosisce un po'.
Prima di me c'è un sessuologo, dopo di me segue una signora che parla di trattamenti di bellezza.
Il sessuologo spiega tutto sulla pillola del giorno dopo, la libido e l'omosessualità mentre la signora estetista mi chiede sottovoce come va chiamandomi “Muñeco Güero”, bambolo biondo.
Poi tocca a me.
“...e così anche oggi ci viene a trovare il nostro amico italiano, il dottor Dario Anelli, benvenuto!” Il programma è seguito principalmente da casalinghe con un basso livello di istruzione quindi bisogna parlare semplice. A semplificare ulteriormente ci pensa la signora Claudia con le sue domande: “E quindi Dario, devi sapere che qui in Messico c'è un detersivo per i pavimenti che si chiama Pinol, quanti pini si abbattono per produrlo?”
Sarebbe da mettere una mano sul microfono e rispondere: “Senti, ma pensi veramente che in un detersivo che producono industrialmente ad ettolitri ci ficchino dentro oli di pino?” Invece bisogna dire. “Che domanda interessante! Claudia, lasciami dire che...”
Alla fine danno il mio numero di cellulare. E' la ricompensa per l'intervento. Se ci pensate non è male. Se sei un'impresa e ti hanno ascoltato centomila persone, probabilmente ti farai dieci o venti clienti.
Nel mio caso, invece, ignoti mi mandano sms pensando che sia onnisciente: “Vorrei produrre energia nel mio domicilio, come faccio, quanto mi costa e quanto ci guadagno.”
Tutto sommato però è divertente, il mio narcisismo si appaga, la curiosità sulle tematiche ambientali si alimenta e mi tengo in forma. Poi magari un giorno mi chiama qualcuno per offrirmi il lavoro della svolta... uhm... e perché no!

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