Ho una rubrica del telefonino che don Giovanni mi fa un baffo.
Agli incontri sono sempre circondato da graziose donzelle e colleghi, mi presento sempre a modo - preparato come posso - ai vari corsi di aggiornamento e aggiungo su Facebook e su Twitter ogni persona che possa dire qualcosa di personale sulla letteratura o su ciò che mi interessa. Sono un latin lover delle conferenze.
Ogni volta è la stessa storia, corteggiamenti facili, rapidi scambi di intese e di numeri, poi nulla.
Si ha un bel dire che oggi la cosa essenziale è fare rete, cosa vuol dire fare rete per chi avanza ottime intenzioni e pretese culturali, se non formule vuote o maneggi politici o deliri di potere? Lo so bene, non è stato altro il dottorato e l'università non può far altro che scongiurare ogni tentativo di aggregare persone con comuni interessi di ricerca.
Cosa si deve fare, allora, perché una rete sia quella che si tesse e non quella in cui si cade?
Come si possono attivare processi per cui le buone occasioni fornite da realtà come la casa editrice Palumbo siano più che mero presenzialismo o scambio di contatti? Esisterà pure un modo per far rete, superare barriere geografiche e architettoniche senza chiudersi in un salotto settecentesco o vanificare l'atto dell'incontro in noiose giaculatorie.
Forse gli incontri al buio sono più fecondi di questi melensi appelli alla reciproca fedeltà.