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Farfalle a Tunisi 2

Da Blanca Persaltrove

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Stanco del lungo viaggio che dalla Libia lo aveva riportato a Tunisi, baba si era ritirato per riposare e la mamma aveva ordinato a Tarek di legare Bouby e badare ai fratellini addormentati, mentre lei andava da khalti [1] Zina, la vicina di casa, per organizzare il bentornato. Era rincasata con Karim, il figlio maggiore, e portavano bibite gassate e un’anguria enorme.
Tarek era poi stato incaricato di andare a prendere della verdura per il couscous e, passandoci davanti, il ragazzino aveva bussato alla porta di casa del suo migliore amico. Già pronto per uscire, Chiheb aveva aperto. Stringeva a sé un vecchio barattolo di latta che ora conteneva le sue farfalle: «Allora, dove le hai?» gli aveva chiesto avviandosi assieme a lui sulla strada polverosa.
«E’ tornato il papà. Non posso farlo, oggi. Però se vieni a casa, più tardi, di sicuro ci sarà gâteaux ai pistacchi e granella di nocciole.», si era affrettato a spiegare facendo tintinnare le fibbie dei sandali di plastica.
Contento per lui, Chiheb aveva sfoderato un sorriso irresistibile e, fermandosi per far passare il carretto con i bidoni dell’acqua, aveva posato il barattolo di harissa sui gradini di una casa, aprendo un poco il coperchio perché le farfalle uscissero: «Stanne certo, non mancherei alla festa per Hamm’Ali [2] !», e passando un braccio sulle spalle dell’amico del cuore, si era messo a fischiettare trascinando i piedi calzati nelle vecchie ciabatte di plastica.
Dopo aver comprato gli ortaggi necessari, Tarek e Chiheb si erano salutati. I giovanotti riuniti dal barbiere, gli amici di Karim, gli promisero di passare più tardi con darbouka [3] e flauti per fare musica.
Una volta a casa Tarek aveva visto che la piccola Malika si era svegliata e la mamma, per tenerla occupata e in silenzio, le aveva preparato una ciotola di sbib, l’uva sultanina, tuffata nel latte. La sorellina lo aveva guardato trillando: «Papà è dormito non svegliallo!», ma quella che urlava era lei, allegra come un uccellino. Tarek aveva sorriso e stringendola le aveva baciato le guance ancora calde di sonno; e lei gli aveva offerto una cucchiaiata di frutta dolce come il miele.
Neder non c’era ma dopo un attimo era rientrato con due pacchi della pasticceria e un sacchetto di biscotti. Karim lo aveva aiutato a riporli in frigorifero assieme alle bibite, mentre la mamma andava a prendere tazze e bicchieri del servizio decorato, quello che si usava solo nei giorni di festa. In silenzio i figli dei vicini si erano affacciati dalla terrazza sul tetto e avevano preso a passare delle sedie di metallo, ognuna segnata col nome del proprietario, che Tarek e Karim avevano sistemato attorno alla stuoia intrecciata messa per terra.
Contro la ringhiera, il gelsomino spandeva il suo profumo delicato, confondendosi con quello speziato delle verdure messe a bollire dalla mamma, e mentre Malika si lasciava pettinare i lunghi capelli, Tarek sentì il padre muoversi nella stanza. Tenendo per mano Neder, aveva seguito Karim nella camera dei genitori e il padre li aveva accolti, dando loro la sua benedizione. Avevano parlato per un po’: Karim stava in piedi e in silenzio; Tarek, steso sul letto grande, osservava i lineamenti paterni che gli pareva d’aver dimenticato in quei quattro lunghi mesi d’assenza e tratteneva la commozione per non sminuire la sua virilità agli occhi di Neder che, con i denti divisi da sfacciato e i riccioli spettinati, si beava delle coccole del padre.
Poco dopo suonarono alla porta: erano gli amici di papà, ormai stanchi di aspettare. Chiheb si presentò con una cesta di pesche schiacciate e dei dolci al sesamo e miele, i baklawa, fatti dalla sua nonna. I due ragazzini si occuparono di sistemare tutto sui vassoi e di portare l’acqua agli invitati e il papà li elogiò davanti a tutti, facendoli sentire terribilmente importanti.
Quando i raggi del sole si abbassarono annunciando il tramonto ecco giungere gli amici di Karim con gli strumenti, e la festa cominciò per davvero.
La piccola Malika non aveva ancora salutato il padre e, molto emozionata dal trambusto, si nascondeva tra le pieghe delle tuniche delle zie accalcate davanti alla cucina e non ne voleva sapere di lasciarsi acchiappare, sfuggendo alla presa della mamma come un gattino e suscitando l’ilarità generale. Solo alla vista della nuova bambola con i capelli ramati la piccola aveva messo da parte ogni vergogna e, seguendo il ritmico e assordante suono della musica, si era messa addirittura a danzare per il papà. Agli elogi dei presenti la bimba dal sorriso dolce si era sentita una regina.
Karim osservava la scena dalla scala, accanto a Neder e Chiheb che s’ingozzavano di dolci, mentre Tarek era chiamato in disparte da un ragazzino della sua età che, coprendo con la mano a coppa la bocca, gli sussurrava all’orecchio: «Domani alla collina delle carrube, tu e Chiheb, assieme agli altri!»

(continua… )


[1] Khalti significa zia da parte materna ma è anche un titolo di rispetto che i più giovani usano verso una donna quasi di famiglia, come una vicina appunto.

[2] Hammi è il corrispondente maschile, significa zio da parte paterna, ed è il titolo per gli uomini di una certa età.

[3] Darbouka indica uno strumento a percussione, tamburo simile ai bongo.

chahed

nella fotografia (mio copyright)    la dolce  Chahed   il cui nome significa Favo di Miele.

Farfalle a Tunisi 2

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