Ha parlato a titolo personale. Nell’ambito di un convegno dedicato al valore delle donne nell’azienda di domani, Elsa Fornero si è detta offesa dall’immagine femminile in televisione: di fronte a certi spettacoli, è più salutare spegnere o cambiare canale. La ministra ha contestualmente annunciato un monitoraggio – sempre personale – sul rispetto delle quote rosa nei consigli di amministrazione, la cui violazione verrà d’ora in poi sanzionata in modo esemplare. Di più: le quote rosa saranno introdotte anche nei consigli di amministrazione delle società non quotate in borsa. Anche questa, però, è un’opinione personale della ministra, che ha commentato «mi piacerebbe realizzarlo, ma non sempre ciò che mi piace viene realizzato»: una confessione d’impotenza, benevolmente interpretata come una dichiarazione d’intenti dal comitato nazionale promotore di “Se non ora quando”.
La Fornero ha detto di non guardare la tv da tre mesi, ma non è certo casuale l’immediata associazione di idee tra gli spettacoli offensivi della dignità femminile e la prova generale di servizio pubblico (con canone) andata in onda dall’Ariston di Sanremo un paio di giorni fa: una sfavillante Belen Rodriguez ha disceso le scale mostrando quella che è stata incongruamente definita “la farfalla segreta”. In realtà il pulsante lepidottero palese, noto ormai in almeno due continenti, aleggiava tra pepli leggerissimi senza celare alcun arcano. I misteri pelvici venivano alimentati dalle pronte rassicurazioni della soubrette sulla presenza criptica quanto superflua di indumenti intimi. L’esibizione non ha però turbato né la direttrice generale Lorenza Lei né le gerarchie ecclesiastiche, subito preoccupate di commissariare un antiestetico Celentano privo, a differenza della farfalla, del dono della sintesi.
Cosa lega Belen, le quote rosa e lo sdegno della Fornero? Si tratta di tre aspetti diversi dello stesso problema: la trasformazione mediatica della donna in elemento ornamentale corrobora l’idea che la questione delle pari opportunità possa risolversi mediante la creazione di riserve di posti per categorie “deboli”, ma solo nelle rappresentanze parlamentari e nei consigli di amministrazione. Esistono milioni di donne silenziose in lotta per la dignità di un lavoro fragile o negato, private della tutela della maternità e condannate a una perenne precarietà: un ossimoro creato appunto dal welfare concepito da Elsa Fornero. Lo sdegno della ministra che rifiuta di essere chiamata al femminile ci lascia dunque perplesse perché, prima di passare attraverso la rappresentazione televisiva, la tutela della donna si basa essenzialmente su garanzie che oggi, per atroce par condicio, sono negate a tutti i soggetti “marginali”: donne, precari, giovani, anziani, immigrati.
L’idea stessa di quota rosa è oggi fortemente in crisi. Si tratta di un meccanismo ormai superato a vantaggio di un’integrazione piena e definitiva tra uomini e donne, senza assurdi limiti proporzionali di rappresentanza non sanzionabili, di fatto, in alcun modo: da anni l’Italia ignora senza alcuna conseguenza le quote rosa, tollerando di buon grado – spesso per cose ancora più gravi – politici notoriamente allergici al rispetto delle pari opportunità. Vicende recenti hanno poi evidenziato i limiti intrinseci dei criteri di selezione delle quote rosa: chi stabilisce chi merita la tinta pastello e chi deve restarne fuori? Pensando ad alcune quote rosa (shocking) che oggi siedono in parlamento e nei consigli regionali, la risposta è raggelante.
La percezione televisiva della donna inizierà a cambiare solo quando sarà realmente mutata la cultura della sua dignità, attraverso una diversa considerazione del suo ruolo sociale e una tutela giuridica che non dia spazio alle discriminazioni di genere. È troppo presto per pensare che vent’anni di berlusconismo televisivo possano essere spazzati di colpo da una grigia ondata morigeratrice, che la farfalla torni a essere il simbolo dell’anima, della metamorfosi, della rinascita e non dei festini di Arcore. La disinvoltura di Belen risulta, nonostante tutto, più conciliante del moralismo a doppio binario della direttrice generale della Rai, angosciata dalla parola sedativa di un predicatore consunto ma non dalla tonica esibizione di una parte anatomica muta, ed è sicuramente più autentica di uno sdegno personale che non riesce a proiettarsi oltre le parole. Anche la farfalla va contestualizzata.