Fari: le case della luce

Creato il 23 aprile 2013 da Audrey2
Darkness reigns at the foot of the lighthouse (proverbio giapponese)

Tra mito e realtà
Un fascio di luce che spezza l’oscurità della notte. Una torre alta e solitaria, come una sentinella. Un uomo, al suo interno, che lotta contro il buio e il mare – perché nelle sue mani è affidato il destino delle imbarcazioni smarrite in prosismità della costa.
“Lighthouse”: casa della luce, in inglese; un nome che trovo molto più evocativo del nostro semplice “faro”. Da sempre accentra su di sé fantasie romantiche, storie di coraggio e di solitudine, leggende di spettri, misteri marini. Anche racconti di guerra, dal momento che venivano utilizzati per individuare navi nemiche. E storie più torbide, poco citate: di guardiani che spegnevano opportunamente la fiamma, al passaggio di navi cariche di merci preziose; di pirati che li usavano per adescare imbarcazioni da depredare…
Il faro è un archetipo, in pratica – soprattutto quando torre e guardiano si fondono, diventando il simbolo della speranza, di tutto ciò che resiste alla violenza della vita.
È un argomento davvero molto ricco e affascinante.
Di tanto in tanto, nel corso degli anni, me ne sono interessata (anche se in modo abbastanza superficiale) e ci ho fantasticato su parecchio – come tanti altri. Ho immaginato di diventare farista. Ho scritto racconti – nella mia testa. Di recente, uno di questi ho cominciato a riversarlo su pc, così mi è venuta voglia di saperne qualcosa in più e ho scoperto una quantità impressionante di materiale, che sto tuttora leggendo.
E succede un po’ quel che successe quando mi appassionai alla pirateria ^^ Quando, per colpa di Salgari e dei suoi corsari, dell’argomento conobbi solo il lato romantico – che tutta una serie di saggi provvide a demolirmi, spalancandomi gli occhi sulla sporcizia, sulle malattie e su altri argomenti decisamente più concreti e molto meno nobili.
Ma i fari li trovo speciali anche tenendo i piedi ben piantati per terra.

Phare Du Four, Bretagne – by Jean Guichard

Il faro e il suo guardiano
Quando ero un cosino alto quanto un nano e un barattolo, e mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo: la maestra, la disegnatrice, la parrucchiera, la suora, il soldato, la selvaggia, la “dinosaurologa”, il medico, l’esploratrice,… Non ho mai detto che avrei voluto fare la guardiana di un faro. Nemmeno sapevo che esistessero.
Invece oggi, se ne avessi l’opportunità, in un faro mi ci chiuderei subito.
Purtroppo, a meno di non soggiornarvi da turista o acquistarne uno dismesso, diventare farista – “operatore/coadiutore nautico”, secondo la denominazione corrente – è appannaggio degli impiegati civili della Marina Militare. Fino al 1994 si poteva presentare domanda e partecipare a un concorso pubblico. Oggi non più. Il ruolo del guardiano di faro, con l’avvento dell’automatizzazione, è stato talmente ridimensionato che il loro numero va scemando di continuo – così come le loro mansioni. Più che un mestiere che va perdendosi, per molti si tratta di un sogno che si sta spegnendo.
Non voglio entrare nella diatriba: “oggi le imbarcazioni hanno il GPS, quindi il faro è inutile… Epperò se il GPS non funziona, il faro serve eccome”. Il punto è sempre quello: il mestiere del farista come lo si è conosciuto finora ha ancora poca vita davanti; nonostante il dispiacere (colpa di quel grano di romanticismo che possiedo), è inevitabile. Ma il faro può reinventarsi.
E quindi vale la pena informarsi sui tanti che vengono abbandonati: una volta che l’ottica viene smontata, la torre va in pensione e a quel punto si può fare domanda d’acquisto all’Agenzia del Demanio.
Eh, magari! Ad avere i soldi, ben volentieri!
Oppure si può cercare in rete e scegliere tra le tante offerte di fari riadattati ad alberghi. Dei tanti, tantissimi non più attivi – qui e nel mondo – alcuni sono diventati delle luxury guesthouse; il turismo premia le vecchie torri, che quasi sempre sorgono in contesti mozzafiato: su alture scoscese – a picco sul mare, in mezzo al mare stesso, su isole e isolotti. Lontano dalla civiltà, anche se non tagliati fuori dal mondo: quasi ogni faro ha la sua rete elettrica, la sua linea telefonica e internet.
Per me sarebbe più che sufficiente.

Roker lighthouse 34 Sunderland UK – by John Kirkwood

Vivere in un faro non è 100% di puro romanticismo
L’immagine del farista arroccato nella sua torre, solo ad affrontare il mare in tempesta, è forse la prima che viene in mente quando si pensa al faro. Seguita da quella in cui il farista, passata la tempesta, si affaccia sulla passerella che corre intorno all’alloggiamento della lanterna per lasciar spaziare lo sguardo sul mare calmo e scintillante – magari all’alba o al tramonto.
Ma questa è solo una parte della realtà.
Il resto è fatto anche di topi, di gabbiani che svolazzano und scagazzano ovunque und fanno chiasso dalla mattina alla sera, di fulmini che si abbattono sulla torre. Di provviste da acquistare pensando con largo anticipo a quell’inconveniente che può bloccarti, di scorte di acqua da gestire, della distanza da percorrere per procurarsi i generi di prima necessità, di manutenzione costante di una struttura soggetta al pesante logorio causato dall’acqua. Della consapevolezza che se ti senti male – e stai “in culo ai lupi” – il medico ci metterà un po’, prima di arrivare. Di adattabilità. Di abilità che vanno un poco oltre il saper montare un lampadario e dare il bianco a una parete. Di umidità e biancheria rovinata dalla salsedine. Di solitudine, che molti desiderano e pochi amano davvero.
A meno di non soggiornare in un faro trasformato in albergo, la vita è un attimino più scomoda rispetto a quella cui siamo abituati – e lo è tanto più, quanto più isolata è la torre. Tra l’altro, così a occhio e croce, direi che trovarsi soli in mezzo a una tempesta in mare debba essere un’esperienza terrificante ed estenuante, sia mentalmente che fisicamente.

Una settimana da dio
Sarei la prima a mettere la firma per una settimana di vacanza in un faro. Ditemi quanto sangue serve per concludere il patto!
Come idea mi attira più della crociera a cui stavo pensando.
Sfuggire alla routine, starmene per conto mio, rilassarmi lontano da tutto, avere il mare vicino… Come motivazioni rientro nelle statistiche. Ma chissene. Sono comunque ragioni che contano. Soprattutto per quel che riguarda il mare.
Mi sono resa conto che posso avere qualche conflitto con l’immagine di me stessa in costume (piuttosto che in un olimpionico o in un bikini mi infilo in uno scafandro come questo!), ma amo il mare e anche solo passarci davanti in macchina mi mette di buon umore. In realtà, qualsiasi specchio d’acqua o fiume ha questa capacità, ma il mare è tutta un’altra cosa. Sono capace di stare ore a cuccia in spiaggia (vestita di tutto punto: per la serie, “vive su un’isola ed è riuscita a non bagnarsi nemmeno un alluce”) a guardare le onde, l’orizzonte, le barche… desiderando che nel quadro non rientrino anche le lattine, le bottiglie, le cicche…

Snug Harbor, Grand Haven, MI, Stati Uniti d’America – credit @ unknown

Ma anche per il resto della mia vita, se è per questo
E qui entra in gioco il romanticismo.
Posso fare la “gne gne gne”, “manteniamo i piedi per terra”, “non è tutto rose e fiori”, ma l’idea di andare a vivere in un faro mi fa sognare a occhi aperti.
Le associazioni mentali che tiro fuori sono le più improbabili e scontate (mare/mistero/storie di fantasmi e di creature mostruose/civiltà sommerse) o le più pragmatiche, però il risultato è sempre uno: la realtà finisce piegata ben bene e cacciata in un cassettino della mente, per far posto a ogni sorta di fantasia – incluse quelle più dementi e adolescenziali. Anche quando l’immaginazione non si discosta più di tanto dal quotidiano, pensarmi in un faro – non necessariamente in uno sperduto in mezzo al mare – è divertente, rasserenante, emozionante. Arrivo persino a pensare che potrei liberarmi della zavorra che mi porto dentro e che quello che vorrei ottenere da me stessa come – diciamo – stato di default, riuscirei finalmente a tirarlo fuori. Basta così, meglio non proseguire per questa china o finirò per autopsicanalizzarmi qui sul blog ^^;
E adesso, anche se la mia parte più pratica non mi permette di soprassedere su disagi e difficoltà, vai con i filmini mentali!

Fanad Head Lighthouse, Donegal, Ireland – by Pawel Karecki: ecco dove vorrei vivere! *__*

Approfondimenti:
Marina Militare
Il guardiano del faro racconta: “La mia vita tra le onde”
Storie di fari
La ragazza del faro

Questo post è stato importato dal mio vecchio blog, Storytime, a causa del solito furbetto che prende ispirazione ma “si dimentica” di linkare.



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