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Farina di Crusca – Storia della lingua italiana (prima parte)

Creato il 15 febbraio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

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200px-Dante_alighieri,_Palazzo_dei_Giudiciuna rubrica a cura di Ivana Vaccaroni. Iniziare questo percorso si presenta arduo ma necessario per capire da dove abbia origine il nostro antico idioma.

Tralasciando esempi precedenti a Dante e partendo proprio dal radicale cambiamento effettuato dal Sommo Poeta potremmo citare una definizione che ne da’ Petrarca  chiamandolo “nostri eloqui dux vulgaris”(Sen.,V 2, 30): senza il suo notevole apporto, peraltro, la nostra prosa non esisterebbe, senza Petrarca invece la lirica.

Dante infatti non si e’ limitato a semplici prestiti da altre lingue ma ci ha fornito una lingua enciclopedica capace di rappresentare qualunque sfumatura, mescolando varie espressioni cui ha saputo attribuire dignità’ di lingua.

La sua prova teorica, linguistica e retorica non otterrà pero’ un riscontro immediato anzi, per circa due secoli, sara’ quasi del tutto sconosciuta mentre la sua poetica, avvertita come ‘classica’ fin dal suo primo apparire porterà a un processo di imitazione dell’unificazione linguistica sulla base del fiorentino letterario del Trecento.

Nel 1265, anno di nascita di Dante, la letteratura fiorentina in volgare era già’ molto diffusa. I modelli siciliani erano stati decisamente assimilati, dopo che anche quelli provenzali e francesi erano stati assorbiti. La Firenze del tempo poteva inoltre fornirgli esempi letterari preziosi a partire da quelli di Rustico Filippi, poeta prevalentemente ‘comico’, al trio formato da Brunetto Latini, Bono Giamboni e Zucchero Bencivenni. Tutti costoro influenzeranno Dante sia nella prosa del Convivio sia nella stesura della Commedia. Non sono soltanto i siciliani, però, a stupire Dante giovane: anche Guittone lo influenza, seppur saltuariamente, in particolare nelle opere della maturità come le canzoni dottrinali e in alcuni espedienti retorici utilizzati nella Commedia.

Analizzando la sua produzione giovanile non si può prescindere dalla Vita nova, che il poeta stesso chiama libello. Composto attorno al 1294 esso consta di 30 liriche di natura autobiografica in volgare, lingua adatta al contenuto amoroso e giustificata dalla necessita’ di rivolgersi a un pubblico dichiaratamente estraneo al latino quale quello femminile.

Successivamente, nei primi anni dell’esilio, comincia per Dante una stagione di approfondimento  culturale necessitando egli di dare una nuova immagine del suo ruolo di intellettuale. Nascono così due trattati: il De Vulgari eloquentia e il Convivio, entrambi del 1304/05, che affrontano il tema della lingua ma da due punti di vista completamente differenti: il Convivio giustifica la scelta del volgare rispetto al latino, nonostante fosse questa la lingua nella quale trattare argomenti filosofici, per rivolgersi ancora una volta ai molti cui il volgare poteva dimostrarsi utile in seguito, come ” principi, baroni, cavalieri e molt’altra nobile gente…” e fornire bellezza e versatilità.

Il De Vulgari eloquentia, pur incompiuto, e’ un trattato di retorica dettato dalla necessità di convincere i doctores illustres della serietà della nuova lingua che doveva competere con il latino dimostrando di avere quattro caratteristiche fondamentali: doveva essere “illustre, cardinale, aulica e curiale”. Alla rassegna dei volgari italiani

(municipalia Latinorum vulgaria) fa seguito la consapevolezza che tutte le parlate sono municipali e si distanziano dal vulgare aulicum. Lingua degli italiani, quindi, e lingua letteraria, stilisticamente elevata.

Naturalmente il percorso di approfondimento teorico e linguistico avrà il suo compimento nella Commedia, dove le esperienze precedenti troveranno la loro giusta conferma.

Continua…

Featured image, Il più antico ritratto documentato di Dante Alighieri conosciuto, Palazzo dell’Arte dei Giudici e Notai, Firenze

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