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La notizia non è ufficiale, ma fonti vicine al comitato referendario danno oltrepassata la soglia delle 500.000 firme per l’abolizione del Porcellum. Un grandissimo risultato, raggiunto nonostante una visibilità televisiva impercettibile, compensata tuttavia dal tam tam della rete, che anche in questa occasione – come nella consultazione referendaria di giugno – ha svolto il prezioso ruolo di difensore dei sacrosanti principi democratici ad essere informati e a partecipare alla res publica. Si tratta di un primo passo, che va gestito senza la presunzione di pensare che il più sia stato fatto.
L’avviso ai naviganti è chiaro. Tocca al Parlamento, ora, decidere se ignorare la richiesta di cambiamento e continuare a fare strame della volontà popolare, o se sia più opportuno fare tesoro del messaggio lanciato dalla società civile. Le reazioni a caldo sembrano incoraggianti, se perfino Alfano, che non doveva trovarsi sulla Luna quando è stata approvata la “porcata”, si è detto disponibile a modificarla: “Siamo per capovolgere il sistema elettorale per cui oggi i parlamentari sono calati dall’alto”. Un sussulto che fa restare basiti. Certo, potrebbe anche essere una tattica dilatoria. Fino a quando la Cassazione non si pronuncerà sull’ammissibilità del quesito (gennaio 2012), non accadrà nulla. E se, come sembra, la legislatura si interromperà prima della scadenza naturale, tutto potrebbe tornare in alto mare perché si andrebbe alle urne con l’attuale sistema elettorale.
Al di là di qualsiasi considerazione, siamo però di fronte alla luminosa attuazione del principio scolpito nel primo articolo della Costituzione: la sovranità appartiene al popolo. Ed è bene che lo sappia chi confonde il potere con l’arbitrio. Ci sarà sempre un giudice a Berlino, fino a quando le istituzioni democratiche funzioneranno.
In questa Italia schizofrenica, il pericolo è semmai un altro. Quello che piccoli interessi di bottega possano vanificare un risultato ottenuto, per lo più, indipendentemente dalle sigle di partito. I sostenitori dell’“altro” referendum (il “Passigli”), dopo l’iniziale passo indietro, hanno di nuovo fatto sentire la propria voce non soltanto per invitare gli elettori a sostenere il proprio quesito, ma anche per seminare dubbi sulla possibilità che i quesiti del comitato “firmo, voto, scelgo” superino il vaglio della Cassazione e sugli effetti della loro approvazione.
In un momento come quello attuale, dividersi costituisce una grave prova di immaturità e di autolesionismo. Responsabilità vuole, invece, che una volta individuata una priorità, ci si comporti di conseguenza, senza volersi per forza appuntare sul petto la medaglia di primo della classe. È essenziale abolire questa legge vergognosa. Che lo faccia Arturo Parisi o Stefano Passigli, non fa grande differenza. Anche perché, in Italia, il referendum è uno strumento abrogativo, per cui dopo, in ogni caso, si renderà necessario l’intervento del Parlamento. Insomma, non importa il colore del gatto: l’importante è che catturi i topi.
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