Magazine Cinema
Alberto Farina
Editrice il Castoro
La scarsa reperibilità di pellicole basate su genuina exploitation in Italia equivale a quella del cartaceo che descrive lo stesso genere. Nel 1997 però Alberto Farina provò, con ottimi risultati, a dare il suo contributo per colmare degnamente la lacuna; mai nome più adatto per un'infarinatura, ed anche più, su quell'affascinante mondo sotterraneo. La sua pubblicazione ci parla di esso, ma "full optional", narrandoci anche della vita fuori dal set di chi ne ha fatto parte, spesso fuori dalle righe quasi quanto un loro film. L'approccio è appassionato, realista nell'individuare in quel cinema diverse idee che saranno poi sfruttare da chi può far leva su ingenti risorse economiche, ma anche obiettivo nel definirne i limiti, senza i sensazionalismi forzati di diverse riscoperte di generi un tempo denigrati.
Dopo una breve introduzione, nientepopodimeno che di John Landis ed un convinto intervento di Samuel L. Broncowitz si entra nello show, e il Caronte è uno degli esponenti più noti del genere: Edward D. Wood. Tra tutti i profili tracciati da Farina è probabilmente quello più amaro, dove gli aneddoti divertenti passano in secondo piano rispetto alla sciaguratezza di alcune situazioni; comunque viene fatta buona luce sul fenomeno Wood, spesso liquidato malamente da chi parla per sentito dire e per frasi fatte. Corposi e profondi sono anche gli articoli sugli "indispensabili" Russ Meyer e le sue sinuosità femminili, Herschell Gordon Lewis e il culto del gore, Ray Dennis Steckler e l'arte di arrangiarsi, l'estroverso Ted V. Mikels, John Waters, Andy Milligan ed altri, con sortita speciale per il guru dell'ambiente Jesús Franco.
Rilievo anche al lato produttivo, con Roger Corman e le sue factory, e, nella parte finale dedicata al periodo dagli Ottanta in poi, anche sulla Troma. Evidente quindi anche un'incursione su un periodo più recente, dove l'exploitation per com'è maggiormente conosciuta aveva quasi smesso di esistere.
Occhio anche su particolari situazioni, come il parallelismo fra il mondo della Lucha Libre messicana e i suoi eroi dediti al cinema, in primis El Santo, sulla saga dei pomodori assassini e, interessantissimo, sugli stratagemmi da sala cinematografica che facevano da contorno alla pellicola: gadget, effetti sonori, artifizi visivi e invenzioni di ogni genere.
Chiude un'intervista al nostro Joe D'Amato, che snocciola dettagli da far gola a qualsiasi fan del "di genere".
Il libro è ancora reperibilissimo, la scoperta d'esso è consigliata, visto che siamo ancora in un periodo dove grandi nomi, vedi Quentin Tarantino, rivelano le loro radici affondate nell'exploitation.
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