Magazine Cultura

Fascinazione noir: Roberto Carboni

Creato il 13 gennaio 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Bolognese, classe 1968. Sei romanzi pubblicati e vari racconti in antologie, altri quattro già finiti. Il prossimo uscirà in primavera. Tiene laboratori di scrittura che definisce creativo-dinamica, perché crede che il principale problema non sia quello di inventarsi una storia, ma quello di renderla così avvincente da fare in modo che per 2 o 300 pagine, il libro rimanga attaccato alle mani del lettore.

E’ un ex giocatore di scacchi agonistico, e per questo ha subito ricercato le regole che governano la scrittura, proprio per riuscire a imbrigliare la sua fantasia anarchica e trasformarla in qualcosa di costruttivo.

La scrittura, senza ombra di dubbio, trasforma i difetti in pregi.

1) Cos’è il noir per Roberto Carboni?

Noir significa niente compromessi. E’ esattamente l’opposto del giallo. Il giallo è la patria delle regole e della moralità. Il noir è l’abisso umano in tutte la sua più imperante disperazione e depravazione.

Ma non significa parolacce, sesso e violenza gratuite. Non amo le scorciatoie, io indago l’uomo e lo descrivo. Tutti noi custodiamo la maggior parte dei nostri pensieri. Ci vergogneremmo moltissimo se dovessimo dire agli altri tutto quello che ci passa per la testa. Ecco, il noir è questo. Non ha regole né morale né ortodossia o bontà o cattiveria. E’ se stesso. Non fa quello che tu ti aspetti, fa quello che deve fare, per questo pagina dopo pagina ti sorprende. E per questo non lo puoi millantare. Non si può scrivere noir perché va di moda. Il noir è il tuo sguardo deformato sul mondo reale. Il noir è lo scrittore stesso. Ognuno con la propria voce e il proprio modo di distorcere la realtà. Il resto è banale giallo che tentano di spacciare per noir perché la parola noir va di moda.

Se va verso la luce, non può essere noir. Se finisce bene, se ti vuole imporre la sua morale… beh, non è noir punto e basta.

2) E’ un genere che sconfina spesso nello psicologico, o no?

Il noir è imprescindibilmente psicologico. E’ quello che non è funzionato nel normale sviluppo di un individuo, che ha generato una psicopatologia, un disturbo evidente della personalità. Il noir si occupa di tessuto umano degenerato. Si occupa dei bassifondi della ragione. Periferie degradate della mente.

Credo che il traguardo più difficile per lo scrittore non sia quello di stendere una buona trama, ma quello di descrivere l’aspetto psicologico. Troppo spesso le storie si accontentano di farci scoprire l’assassino, e non di farcelo conoscere. Io voglio che i miei lettori conoscano vittime e assassini. Come ho detto non impongo alcuna morale ai miei romanzi, sarà il lettore stesso a farlo. Si troverà come di fronte a uno specchio. Sarà lui a proiettare la propria anima e decidere cosa è morale, cosa è giusto…. Ma il più delle volte si troverà di fronte a un’immensa fascia grigia. E’ molto difficile giudicare gli esseri umani se si conoscono a fondo le loro pulsioni.

3) Non solo noir: perché tanto ricorso alla psicologia nella narrativa di oggi e perché appassiona tanto?

Viviamo nell’incertezza e abbiamo bisogno di risposte. Ma allora possiamo domandarci: da dove viene questa incertezza? In proposito c’è una opinione scientifica che mi piace molto: una volta la vita seguiva il ciclo delle stagioni. L’uomo conosceva le variabili che l’attendevano nella successiva stagione. E i problemi. E chi aveva vissuto di più, aveva visto più cicli e quindi era indiscutibilmente saggio.

Oggi viviamo l’epoca del tempo scagliato in avanti. Alla primavera non segue l’estate, ma l’incertezza. La tecnologia avanza, si perdono i posti di lavoro, dobbiamo non ri-scoprirci ma re-inventarci costantemente. Chi ha vissuto di più perde la saggezza assoluta (che aveva il vecchio agricoltore), perché paradossalmente sarà il meno adatto a prevedere il futuro.

La psicologia da rivista è una specie di astrologia pseudo-scientifica. Ci suggerisce direzioni. E come è noto tra i sociologi, una linea di comportamento, anche se sbagliata, rassicura.

Dovremmo invece ricordarci che l’essere umano, come tutti gli altri animali del pianeta, è in costante pericolo. E soprattutto è – appunto – umano, fallace e imprevedibile.

4) Sei appassionato e documentatissimo sulla psichiatria forense: spiegaci dunque un po’ perché le persone amano il torbido, o la paura.

Ho letto studi sociologici che affermano che l’omicidio è radicato nell’uomo proprio come l’istinto di sfamarsi o riprodursi. Per darti la risposta comunque mi farò aiutare da illustri. Robert Simon, noto criminologo, sostiene che la fascinazione che proviamo di fronte ai crimini terribili dei serial killer, tradisce il timore che anche in noi siano annidati gli stessi demoni violenti.

Charles Baudelaire: E’ il Diavolo che tiene i nostri fili! Dai più ripugnanti oggetti siamo attratti; e ogni giorno nell’Inferno discendiamo d’un passo, senza orrore, attraversando miasmi e buio.

E se non ci credete, provate a pensare questo: chiamano la letteratura noir una letteratura di evasione. Ma evasione da cosa? Terminiamo di vedere un telegiornale nel quale hanno parlato di morti ammazzati e prendiamo in mano un romanzo che parla di morti ammazzati. Non è mica evasione, è attrazione: i sociologi la sanno lunga.

Il_Dentista_per_web

5) Hai lavorato come taxista per diciassette lunghi anni a Bologna e la conosci nella sua più nascosta veste notturna: c’è qualcosa di quanto hai visto in quegli anni che non ti sei mai sentito di raccontare nei tuoi romanzi? 

Ho lavorato come tassista per diciassette brevissimi anni. Brevissimi perché è stata un’esperienza meravigliosa. Il miglior spaccato di umanità possibile.

Clienti… Il tizio che è appena uscito, dopo dodici anni di galera. Lo prendi su fuori dal carcere e gli parli e lo riconduci al mondo come se si fosse appena riavuto dal coma.

Ti racconta la sua storia, che è comunque una tragedia. Non riconosce le strade, i palazzi, le auto, il modo di vestire.

Tu sei un Caronte alla rovescio e lo traghetti fra i vivi.

La ragazza che sta andando al funerale del proprio padre. E ti sembra una bravissima persona, eppure non piange, non è dispiaciuta. E tu stai lì, guidi, e non saprai mai il perché.

La psichiatra che ha una crisi di nervi in taxi, perché i clienti la chiamano cento volte al giorno. E tu cerchi di calmarla mentre strilla. E fai il terapeuta della terapeuta.

L’ubriaco che non vuole scendere, il tossico che non vuole pagare… Il transessuale con la parrucca sintetica che ti parla di Turgenev e del nichilismo.

E tu lì, come dentro il cestello della lavatrice in centrifuga, insieme a panni di tutti i colori. Che continui a meravigliarti anche dopo trent’anni che sfondi sedili e frusti via Indipendenza.

Quale altro lavoro porta altrettanta meraviglia? E possibilità di crescere e aiutare gli altri.

6) Domanda sull’editoria italiana: si dice a volte che influenzi addirittura le nostre scelte di lettori, o almeno che ci provi. Come scovare un buon libro nella massa?

Ah, cosa non darei per saperti rispondere! Perché se conoscessi la risposta saprei come scrivere qualcosa che piaccia a tutti. Ma naturalmente non è possibile. Ognuno di noi ha i propri gusti e ognuno di noi è influenzato da quei maledetti demoni che sono gli esperti di marketing.

E allora forse possiamo lasciarci guidare dall’istinto. In molte librerie sono allestiti spazi per leggere. Prendiamo un romanzo, sediamoci e annusiamolo. Diamo poca importanza a titolo e copertina. Non sono quasi mai scelte dell’autore. I maledetti esperti del marketing puntano su quelli: titolo e copertina, per attrarci. Ignoriamoli. Leggiamo la prima pagina, ma anche quella consideriamola poco. La prima pagina è un altro cavallo di troia allestito per l’ignaro lettore.

Apriamo il libro a caso, invece. Ci imbatteremo in dialoghi, in descrizioni, in personaggi… Saremo noi a sorprendere lo scrittore e non il contrario. Cogliamo l’autore dove non si aspetta. Nella quotidianità di pagina 137, 153 o 194, e non nell’attenzione maniacale che avrà messo a pagina 1.

Ecco, se facendo così proviamo amore, se ci sentiamo attratti. Se sentiamo il suo respiro, e che dalle pagine esce una mano che afferra la nostra e ci conduce in un mondo da sogno, allora possiamo fidarci dei nostri sentimenti.

7) Che cosa non ti piace della nuova letteratura nostrana, tecnicamente parlando?

Che spesso non è nuova. Che ricalca, e ricalca, e ricalca. Su molti gialli c’è scritto NOIR. Perché noir è una parola che guizza. Eppure sono gialli, con la stessa struttura del dopoguerra. Io inseguo l’originalità a tutti i costi. Anche nella tensione. Cerco cosa fa paura e non è ancora stato descritto. Provo a costruire partendo da zero, non a ri-costruire qualcosa che segue un moda. Un editor un volta mi ha detto che avrei dovuto avvicinarmi un po’ di più al mercato (leggi: scimmiottare scrittori famosi). Ma io preferisco non piacere per conto mio piuttosto che spiaciucchiare perché somiglio a qualcun altro. Lo ammetto, non credo di essere tagliato per i compromessi.

8) La scrittura creativa, infine, ha davvero così tante regole? I più grandi autori moderni le regole le hanno infrante: vedi Bukowski che stravolgeva la grammatica pur conoscendola a menadito, o l’uso della punteggiatura di cui è capace Saramago…

Eh, eh! Vedi che bella cosa che hai detto? Bukowski stravolgeva la grammatica pur conoscendola a menadito. E’ questo il punto. Puoi stravolgere (leggi: andare oltre) solo quando prima hai imparato alla perfezione. Per rompere una regola devi conoscerla. Come potresti infrangere volontariamente quello che non conosci?

Ma qui forse alla base c’è l’equivoco fondamentale che riguarda i laboratori di scrittura. Non sono affatto luoghi di omogeneizzazione, ma al contrario luoghi dove si impara a volare e a esprimersi liberamente con la propria Voce di scrittore. E’ la nostra Voce che ci contraddistingue dalla massa. Che affascina il lettore. La nostra Voce è qualcosa di naturale, ma che va affinata con gli anni, lo studio e la pratica. E’ un lavoro infinito ma impagabile, per la gioia che ci regalerà.

La nostra voce accetterà alcune regole e ne riscriverà altre. E questa somma ci contraddistinguerà. Farà sì che il lettore ami stare in nostra compagnia. Esiste niente di più appagante?

9) Ultima domanda: da cosa si riconosce un buon scrittore?

A questa proprio non posso rispondere. Posso dire cosa è per me un buon libro, ma dichiarare solennemente chi è un buon scrittore, sarebbe a dir poco pretenzioso.

Anche perché ci sono autori che io adoro, che magari riscuotono un successo tiepido. E allora ho ragione io, che scrivo e mi interesso di scrittura, o ha ragione il semplice lettore che ha pagato il biglietto per lo spettacolo, voleva divertirsi ma non c’è riuscito?

Tutti abbiamo ragione quando si tratta di investire il nostro tempo. Qualcuno penserà: Carboni è un buon autore. Altri penseranno: Carboni faceva meglio a continuare a guidare la macchina.

Ricordo che proprio quando facevo ancora il tassista, una volta caricai una professoressa di italiano che se ne uscì con: Hemingway non scriveva poi così bene. De Sade scriveva molto meglio. E io ricordo che nel guidare rischiai di centrare un platano, per guardarla e capire se stesse scherzando. Era serissima.

E aveva ragione lei. Dal suo punto di vista, nel suo mondo, senz’altro sì. Io potevo solo prenderne atto. Capire questo – e riuscire ad accettarlo – è un ottimo esercizio per riuscire a smettere di essere ego-centrici. Lo scrittore deve sempre sparire dalle proprie pagine, è il lettore il protagonista della festa. Come in qualsiasi rapporto sentimentale che si rispetti, il suo sorriso, stupore, ansia e amore, saranno i nostri sorrisi, stupori, ansie ed amori.

 



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :