Lo so, lo so, Prato non è Firenze, anche se molto vicina geograficamente. E lo so, lo so, il Museo del Tessuto non è un museo di moda, ma permettetemi di dire che se non esistessero i tessuti, non esisterebbe neanche la moda. Così, in questo itinerario nato un po’ per caso, un po’ per curiosità, dei musei della moda di Firenze, e che mi ha portato dapprima nei musei dei due grandi marchi Ferragamo e Gucci e poi in quel museo di storia della moda che è la Galleria del Costume, non potevo non completare il cerchio con il museo del Tessuto. Museo molto didattico, il suo percorso si svolge su due livelli: un’introduzione teorica ai tessuti, con l’illustrazione delle materie prime e delle fibre naturali, artificiali e sintetiche, quindi dei processi di lavorazione, filatura, cardatura, tessitura e tintura; il secondo livello è dedicato invece alla storia di Prato come centro di produzione tessile. La storia della tessitura a Prato è in effetti lunga e avvincente: inizia nel Medioevo, agli inizi del XII secolo, lungo il corso del fiume Bisenzio, sul quale erano installate le gualchiere per follare i panni di lana. Se non sapete che vuol dire “follare” dovete tornare indietro nel percorso: la follatura è un processo di lavorazione della lana che consiste nel compattamento del tessuto anche per impermeabilizzare. E torniamo alla storia della produzione tessile a Prato. Per il processo della follatura era necessaria l’acqua, per cui le acque del Bisenzio vennero convogliate in un canale detto Gorone e poi divise in tre gore che attraversavano il contado e il centro abitato (e che solo nel Novecento sono state interrate).
Tra i personaggi che si impongono nella storia della produzione tessile di Prato va segnalata la figura dell’imprenditore Francesco di Marco Datini. Costui riuscì a costituire un’attività su scala internazionale che collegava gli opifici di tessitura di Prato a Genova, alla Catalogna e alle Baleari, con le quali commerciava i prodotti finiti, alla lontana Inghilterra nella quale si procurava anche la materia prima, e a Firenze dove aprì una banca: un’attività imprenditoriale che seguiva tutta la filiera di produzione, dal reperimento delle materie prime fino alla commercializzazione del prodotto finito.
Macchinari per la lavorazione dei cenci – Museo del Tessuto Prato
Un altro personaggio importante per la Prato legata alla produzione tessile è Giovan battista Mazzoni che introduce la meccanizzazione della filiera tessile, imprescindibile premessa per la produzione su scala industriale. Questa ha poi un grande grandissimo sviluppo con l’introduzione della tecnologia della lana rigenerata. Di che si tratta? E’ la fibra ottenuta dalla stracciatura dei “cenci”, abiti, tessuti e scarti di sartoria, destinata ad essere nuovamente filata. Questa tecnologia prende particolarmente piede a Prato, dove addirittura si forma la figura professionale del cenciaiolo, colui che al tatto riesce a classificare la qualità e le caratteristiche degli stracci in vista di un loro riutilizzo. In questa produzione, Prato diventa il centro più importante su scala internazionale e la sua fortuna come centro tessile è tuttora dovuta a questo tipo particolare di lavorazione.
Un video 3D a misura di bambino racconta l’importante ruolo della tessitura a Prato, mentre nella sala sono esposti, oltre ad alcuni abiti di collezione, anche i macchinari per la lavorazione dei cenci e i cenci stessi, raccolti e suddivisi a seconda del colore o della qualità del tessuto. Video e touch screen aiutano nella comprensione e completano il percorso espositivo.
Il museo riesce a rendere semplice un processo e una materia che semplice non è, ma soprattutto riesce a incuriosirci su un argomento che magari ci interessa poco e che però è fondamentale per noi: da dove vengono i vestiti che indossiamo? Lo diamo per scontato, eppure dietro il più semplice capo di abbigliamento, il più piccolo frammento di stoffa, c’è un lavoro e un saper fare sorprendenti, una storia che il Museo del tessuto di Prato oggi ci racconta.