Fashion victim o fashion virtuous? La moda sostenibile dello “swapping”

Creato il 03 giugno 2013 da Greeno @greeno_com
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di Eleonora Chiais

Tra baratti e mercatini delle pulci il vintage ha conquistato, ormai da anni, un posto in prima fila nei cuori delle fashion victim, impegnate, sotto pioggia, vento o solleone, in estenuanti sessioni di caccia tra banchetti assiepati e concorrenti egualmente affamate di affari. Il vintage, d’altra parte, si colloca bene nel filone della moda in verde già affrontato su queste stesse pagine assicurando la completa soddisfazione della ricetta base per l’eco-chic: risparmio, attenzione ambientale e occhi sempre centrati sulla moda. Se è vero, però, che i mercatini delle pulci e i negozietti dedicati non passeranno mai di moda è anche vero che in epoca di 3.0 Internet non può astenersi dallo strizzare un occhio agli estimatori dell’abbigliamento d’antan. D’altra parte il web rappresenta ormai un nuovo territorio per lo shopping e pullulano i siti dedicati che garantiscono un’esperienza d’acquisto diversa da quella classica ma altrettanto stimolante. Dal punto di vista strettamente semiotico, come sostiene tra gli altri Federica Turco , lo shopping in rete permette una narrazione diversa.

Se infatti considerassimo l’acquisto di abiti on-line come una narrazione potremmo dire che si tratta di una prova che richiede delle nuove competenze rispetto al passato. Queste competenze, spiega ancora la semiologa torinese, riguardano in primo luogo la capacità di immaginazione (dell’acquirente) ed in secondo luogo un cambiamento nel disegno di moda che costringe le aziende di settore ad aumentare le loro competenze sulla comunicazione dell’abito. L’abito rappresentato, già studiato fin dai lavori di Roland Barthes, torna qui ad essere protagonista perché,  in mancanza di una vicinanza reale con il capo e, proprio a causa della sua natura mediata e virtuale, si attribuisce alle descrizioni (verbali e visive) il plus che porta nella direzione dell’acquisto. Questo vale, ovviamente, per tutti i portali dello shopping in rete ma riguarda ancora più vicino tutti quegli spazi del web che propongono l’acquisto o il baratto di capi vintage. Grazie alla ludicizzazione del quotidiano veicolata e resa possibile dalle recenti applicazioni per smart phone è infatti ormai possibile acquistare capi usati tramite app del tipo di Depop che permettono di immortalare i capi che non si usano più creando una personale vetrina consultabile dagli utenti che possono, a questo punto, procedere con l’acquisto attraverso le funzionalità dell’applicazione.

Più interessante ai nostri fini, invece, è la nascita di ibridi tra la moda mediata e la moda reale: a metà strada tra Depop (e simili) e il negozietto vintage del quartiere ecco infatti gli Swap Party. Il fenomeno dello swapping, che si basa sull’abusata ma sempre attuale formula latina del do ut des, è nato nei salotti fashion di Manhattan e si sta ormai diffondendo a macchia d’olio in tutto il mondo. Si tratta, grosso modo, di feste private in cui gli abiti portati dalle partecipanti sono i protagonisti assoluti e vengono scambiati tra i presenti che, in cambio, acciuffano capi portati da altri partecipanti. L’interesse di questo genere di scambi sta prima di tutto nell’accostamento della rete con il mondo della moda reale visto che simili appuntamenti fashion sono organizzati proprio on-line ma poi si svolgono in un contesto reale.

Doppia anima reale/virtuale confermata anche da un esempio tutto italiano. Lo Swap Club Italia, l’associazione nostrana che organizza feste dello scambio in tutto il Belpaese e che permette lo scambio anche tramite il suo sito, ha infatti sede proprio a Bologna, la mecca (reale) degli amanti dei negozi vintage.  In  secondo luogo, poi, questo genere di shopping permette l’introduzione di un terzo tipo di narrazione. Qui, come nel caso della moda mediata, la comunicazione degli abiti diventa fondamentale ma sono proprio i capi d’abbigliamento a diventare eroi visto che ricoprono il ruolo dei protagonisti nella narrazione di chi vuole scambiarli. Anche l’anima green di simili eventi è palese: lo swapping, infatti, è un modo per iniziare una narrazione diversa nella quale abiti e accessori considerati inutili (o datati) per chi li possiede possono essere reinterpretati diventando testi diversi e dotati di significati nuovi. E il recupero (colorato di verde) è davvero sotto gli occhi (e nei computer) di tutti gli swap-addicted.


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